Vocazioni: la veglia diocesana

Giovedì 8 maggio si è svolta presso la Chiesa di San Francesco a Modena la Veglia Diocesana di Preghiera per le Vocazioni presieduta dal nostro Arcivescovo Antonio. La veglia, che ha visto un significativo numero di persone presenti (sacerdoti, seminaristi, religiosi, religiose, membri degli istituti di vita consacrata, giovani, famiglie, fidanzati’ ), è stata inserita nel contesto mariano del mese di Maggio con la preghiera del Rosario. Abbiamo meditato i ‘misteri della luce’ in chiave vocazionale in quanto dal Battesimo nel Giordano all’Istituzione dell’Eucaristia offrono al credente un vero itinerario di risposta alla chiamata alla Santità. Dopo l’enunciazione di ogni mistero e al proclamazione del brano evangelico corrispondente, abbiamo chiesto ad alcuni testimoni delle varie vocazioni un breve commento che riportiamo di seguito.
 
Riflettendo sulla vocazione universale alla santità, la prima cosa che mi viene in mente è che per tutti c’è Qualcuno che chiama. Sembra un’affermazione superflua ma non lo è. Tutti noi, e soprattutto noi giovani, viviamo in un mondo pieno di rumori e voci. Ma sono spesso voci vane, incapaci di rispondere alle domande che portiamo nel cuore. Tutto questo rumore diventa spesso un silenzio assordante. Siamo la generazione che più di ogni altra nella storia ha la possibilità di comunicare. Eppure, quanta solitudine riempie le nostre giornate! Quanta solitudine c’è dietro i tanti inutili sms che mandiamo continuamente o dietro le tante maschere che indossiamo tutti i giorni nella vita o sul web!
Ebbene: non siamo soli! Qualcuno ci chiama, e ci chiama perché ci ama. Ricordo, qualche mese fa, il nostro Vescovo dire che ogni vocazione ‘ sia essa matrimoniale o sacerdotale o religiosa ‘ è la storia di un dialogo, di un dialogo tra Dio e l’uomo. Il giorno del nostro Battesimo quel dialogo si è fatto più intimo e familiare, come fra un padre e un figlio. Da quel giorno Dio ci chiama per nome e ci chiama incessantemente. Spetta a noi rispondere e cominciare così il nostro dialogo.
Vocazione alla santità vuol dire per noi rispondere a questa chiamata. Vuol dire non vivacchiare ma vivere pienamente. Vuol dire non essere solo consumatori passivi ma ambire alle vette più alte. Vuol dire non accontentarsi di essere servi ma vivere consapevoli della nostra dignità di figli. Vuol dire ‘ per usare le parole di san Giovanni Paolo II ‘ prendere in mano la nostra vita e farne un capolavoro.
Ma per fare un capolavoro ci vuole un grande artista, i nostri scarabocchi non sono sufficienti. Affidiamoci allora al più grande fra gli artisti. E’ Lui l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, è Lui che prende sulle sue spalle le nostre debolezze e le trasforma. Solo Lui sa cosa c’è nel nostro cuore. La risposta a ciò che saremo non può che venire da chi c’era prima di noi perché era davanti a noi. Lui da sempre ci conosce, da sempre ci ama e da sempre ci chiama. E per sempre ci vuole con Sé in Paradiso.
Federico Covili
 
Noi ci siamo conosciuti in parrocchia, io ero e sono ancora molto amica della sorella di Andrea. eravamo entrambi educatori giovanili ma tutti e due avevamo il moroso/a. La nostra storia parte da qua: 2 cammini lunghi di fidanzamento che finiscono nello stesso periodo. Un momento difficile per entrambi, un po’ come quando durante le nozze di Cana viene a finire il vino e ora come si prosegue? Ma ecco che Gesù compie il suo primo miracolo e lo compie proprio in famiglia. Anche noi ci siamo messi in gioco partecipando insieme alla Messa quotidiana e uscendo in compagnia insieme per cercare di dare una risposta alla nostra vocazione e non fermarci davanti alla prima difficoltà.
Gesù ha bisogno di noi per compiere il miracolo, ha bisogno della nostra fede e così chiede di riempire le giare di acqua e ci chiede solo un’altra cosa, come anche a Maria che dice ai servitori:’ qualsiasi cosa vi dica, fatela’; ci chiede di fidarci di lui. Ed ecco il miracolo: il Signore ha fatto trasformare la nostra amicizia in amore e ci ha aiutati a costruire la nostra famiglia. Ci ha accompagnati nel cammino vocazionale del “Sentiero Imprevisto”, nel nostro ruolo di educatori prima in parrocchia, poi nella pastorale vocazionale ed infine anche in quella familiare. Ci ha donato per ora 2 bellissime bimbe alle quali cerchiamo di trasmettere con passione quella stessa fede che i nostri genitori hanno trasmesso a noi.
Andrea e Claudia Manicardi
 
Nel brano che abbiamo appena letto c’è un passaggio che è facile che ci sfugga; sono due azioni che Gesù fa: all’inizio c’è scritto ‘si alzò a leggere’ e alla fine ‘si sedette’. Questi verbi ci parlano di un atteggiamento di Gesù, di un suo modo di fare. Sono azioni elementari ma che ci dicono tanto. Quando entriamo a casa di qualcuno e ci sediamo è perché abbiamo del tempo per stare lì; oppure anche sedersi per ascoltare qualcuno è un modo per stare lì con lui.
Mi sono voluta soffermare su questo semplice modo di fare di Gesù per provare a riassumere in poche parole cosa è per me, nell’esperienza fatta in un anno in Burkina Faso, la missione.
Missione per me è stato entrare nella vita delle persone e stare con loro; senza portare grandi sconvolgimenti, grandi novità o ostentare a tutti i costi la mia vita e la mia fede. A volte, soprattutto nel passato, sembrava che solamente chi fosse in grado di fare grandi cose potesse essere missionario; ma Gesù non ci chiede di essere eroi. Anzi, spesso leggendo il Vangelo e poi guardandomi intorno, mi accorgo che Gesù ci chiede semplicemente di essere uomini tra gli uomini.
Tra le parole più belle che mi porto a casa, sicuramente c’è la domanda fatta da Adeline, una ragazza del villaggio, che secondo me riassume il senso dell’esserci stata. Verso la fine dell’esperienza in Burkina, Adeline ci chiese ‘Ma chi vi ha insegnato questa semplicità?’. Un po’ sorprese io e l’altra ragazza che era con me, non capivamo bene a cosa si riferisse, ma poi ci ha spiegato meglio ‘Vi accontentate di una cena senza posate e senza pane; di una capanna senza luce; di un secchio per lavarvi le mani; e adesso, dopo un anno, sono sicura che in cambio non volete niente’.
Quindi per me la missione è questa: sedersi con la gente che si incontra, stare insieme in semplicità, condividere ‘ fino al possibile ‘ le loro condizioni di vita, ascoltare quello che si ha da dire, ringraziare e non pretendere nulla, nemmeno la presunzione di credere di aver dato qualcosa.
Alice Angeli
 
La Trasfigurazione è l’icona evangelica che più aiuta a illuminare il senso della vocazione alla Vita Consacrata. La Trasfigurazione di Gesù avviene dopo il primo annuncio della Sua Morte. Per i discepoli, la croce era un ostacolo per credere in Gesù Messia. La trasfigurazione di li aiuterà a superare lo scandalo della Croce perché indica che la Croce è un cammino verso la Gloria: la Trasfigurazione consolida la fede nel loro cuore, e li prepara ad affrontare il dramma della Croce anticipando la gloria della risurrezione.
Gesù sale verso un’alta montagna per pregare. Lassù appare nella gloria insieme a Mosè ed Elia dinanzi a Pietro, Giacomo e Giovanni.
Io faccio parte dell’Istituto delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento. Il nostro Carisma specifico è l’adorazione a Gesù, presente nel Sacramento dell’Eucaristia, e il servizio ai più poveri. E’ dunque una vita fatta di contemplazione e di azione, che ritrovo in questo brano evangelico. Qui la contemplazione è collegata alla preghiera di Gesù, mentre l’azione è collegata alla discesa dal monte: i discepoli che hanno goduto dell’intimità del Maestro, avvolti per un momento dallo splendore della vita trinitaria e della comunione dei santi, anche se avrebbero voluto fermarsi lì e costruire tre capanne sono subito riportati alla realtà quotidiana, e sono invitati a tornare a valle, per vivere la missione di Dio,.
Quando Gesù è avvolto dalla gloria, una voce dice: “Questo è il Figlio mio l’amato! Ascoltatelo!”
La contemplazione della gloria del Signore nella Trasfigurazione rivela a noi consacrati il Padre creatore, che ci attira a sé con uno speciale amore e in vista di una missione speciale. Accogliendo la sua chiamata, ci affidiamo all’amore di Dio che ci vuole al suo esclusivo servizio, e ci consacra totalmente a Lui e al suo disegno di salvezza.
Proprio qui sta il senso della vocazione alla vita consacrata: è un’iniziativa del Padre che richiede a coloro che ha scelto la risposta di un dono totale ed esclusivo. L’esperienza di questo amore gratuito di Dio è stata per me così intima e forte che non ho potuto non rispondere con il dono incondizionato della mia vita, consacrando tutto, presente e futuro, nelle sue mani.
Gesù chiama tutti i battezzati alla sua sequela, ma a noi consacrati chiede un coinvolgimento totale, che comporta l’abbandono di ogni cosa, per vivere in intimità con Lui e seguirlo dovunque Egli vada.
Il nostro primo compito è quello di rendere visibili le meraviglie che Dio opera nella nostra fragile umanità. Più che con le parole, cerchiamo di testimoniare tali meraviglie con un’esistenza trasfigurata, capace di sorprendere il mondo annunciando i prodigi che il Signore compie in noi. La Vita Consacrata è una vita che trasfigura il quotidiano: con il Signore cerchiamo con umiltà di manifestare qualcosa che va oltre, Qualcuno che ha affascinato il nostro cuore per sempre.
La Vita Consacrata è un modo particolarmente intimo di prendere parte alla missione di Cristo, e lo facciamo sull’esempio di Maria, prima discepola, che accettò di mettersi al servizio del disegno di Dio con il dono totale di se stessa. Ogni missione non può che iniziare dunque con lo stesso atteggiamento espresso da Maria nell’annunciazione: ‘Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola’.
Suor Raffaella De Col
 
Nei prossimi giorni, il 14 maggio, celebrerò il terzo anniversario della mia ordinazione sacerdotale. Questo, in realtà, è un periodo di tanti anniversari, anche per tanti altri sacerdoti. Beh, mercoledì sarà l’anniversario della mia ordinazione, del giorno in cui, per le mani e la preghiera dell’Arcivescovo, ho compiuto il cammino del Seminario diventando sacerdote. Un cammino lungo; non è il caso che stia a raccontare tutta la storia della mia vocazione’ Vorrei solo fare un piccolo riferimento prendendo spunto da quello che è stato detto poco fa da Federico, nella testimonianza relativa al primo mistero, quando, citando il vescovo Antonio, ha descritto la vocazione come la storia di un dialogo. Nel mio caso è stato un dialogo un po’ ‘movimentato’, vivace, fatto anche di momenti un po’ forti, di tensioni’ io non volevo diventare sacerdote! E quando ho avvertito gli occhi del Signore su di me son anche arrivato a sferrare un ‘colpo basso’: ho presentato al Signore un argomento che, a mio avviso, lo avrebbe fatto desistere dal suo progetto. Il mio peccato. Mai avrei creduto che il Signore potesse rispondermi con un colpo ‘ancora più basso” «E se io ti perdonassi?». E’ stato il suo perdono a conquistarmi. In questi casi ‘cadono le braccia’, e l’unica cosa che rimane è crollare’
E così sono diventato sacerdote tre anni fa e continuo a ringraziare Dio ogni giorno per questo dono d’Amore. Davvero belle, in questo senso, alcune parole pronunciate dal Vescovo durante l’omelia dell’ultima Messa Crismale, quando ha affermato che Cristo, durante l’Ultima Cena, ha «chiamato per nome ogni singolo sacerdote di tutti i tempi». Sì: noi preti celebriamo il nostro anniversario tutti i giorni in cui offriamo il Sacrificio Eucaristico, memoriale del momento in cui ‘tutto è iniziato’, della nostra chiamata a seguire Cristo, Sommo Sacerdote!
Concludo con un’ultima curiosità. Anche oggi, 8 maggio, è un anniversario, per me: proprio tre anni fa oggi era domenica, l’ultima domenica che ho vissuto da non-sacerdote. Sette giorni dopo, infatti, ho celebrato la Prima Messa. Una data, quella dell’8 maggio 2011, comunque importante, perché, da allora in poi, nessuna domenica sarebbe stata più come prima. Sì, perché ‘celebrare’ un Sacramento (non solo l’Eucarestia, anche gli altri!) è totalmente diverso dal ‘riceverlo’. Direi, forse, che un po’ di quella Grazia che passa attraverso i poveri gesti e le povere parole di un povero prete, rimane. La differenza tra ‘celebrare’ e ‘ricevere’ un Sacramento non è spiegabile a parole: come ha affermato poco fa Suor Raffaella, certe cose non possono essere descritte a parole ma si possono solo vivere.
Ed è per questo che, oltre ad una grande preghiera di ringraziamento quotidiana al Signore per avermi chiamato e avermi convinto a diventare prete, chiedo a Dio che tanti giovani possano scoprire la bellezza della Vocazione sacerdotale accorgendosi che, durante l’Ultima Cena, il Signore Gesù ha pronunciato, nel suo Cuore, anche il loro nome.
Don Paolo Biochini
 
Dopo il canto del ‘Salve Regina’ il nostro Arcivescovo ha tracciato alcune riflessioni intorno alla domanda: ‘che significato ha per noi celebrare la veglia recitando il rosario’?
 
Il primo significato: pregare per la nostra vocazione, per quella dei nostri amici, per le vocazioni di quelli che conosciamo e di tanti altri che portiamo nel cuore.
Il secondo significato:fare un esercizio concreto vocazionale, cioè lasciarsi educare a vivere la vita come vocazione attraverso la preghiera, l’ascolto del Vangelo, la contemplazione dei misteri, l’aiuto delle testimonianze.
Il Rosario è fondamentalmente una preghiera contemplativa: è un metodo per pregare contemplando l’amore di Dio che si svela nella vita di Gesù; una contemplazione fatta in compagnia di Maria, con il cuore di Maria.
La contemplazione non è un esercizio della mente, ma un’esperienza dell’essere assorti in amorosa comunione . Gli occhi contemplativi sono fissi su Gesù, sui fatti della sua vita.
Contemplando l’amore di Dio per noi manifestato in Gesù, cresce la domanda : come rispondo a questo amore?
Il Rosario ha un compito ‘ trasformante’, perché non ci fa solo contemplare , adorare e amare il mistero di Gesù, ma ci ‘ assimila ‘ a lui , fa crescere in noi gli atteggiamenti, presenti in Gesù e in Maria e che, se ci pensiamo bene , sono alla base di una vita vissuta come vocazione.
La purezza del cuore porta a desiderare unicamente che il disegno di Dio sulla nostra vita si compia, a non vivere con altre intenzionalità.
Il cuore per essere puro deve essere povero,libero, umile, mite, pacifico.
Ha il cuore puro chi sa vivere relazioni di verità, giustizia, pace e amore con gli uomini.
La gratitudine nasce dal ricevere la propria vita e la storia dalle mani di Dio.
La vita ci è data perché diventiamo sempre più ‘ veri’ e la verità dell’uomo è quella di ‘ appartenere’: l’uomo è ‘creatura’ , appartiene a un Dio che è Padre.
La nostra è un’esistenza ricevuta in dono da Dio, va spesa nella gratitudine e nella gratuità.
L’umiltà. Come Maria, dobbiamo vivere senza paura il paradosso di quello che siamo, ossia persone ‘piene di grazia’, cioè ‘ amate gratuitamente’ e nello stesso tempo ‘ persone che non contano nulla’, portatori di tesori in vasi di argilla. Maria ha la consapevolezza di essere ‘ piena di grazia’ e nello stesso tempo canta il suo Magnificat perché Dio ha guardato alla sua ‘umiltà’.
La docilità. Essere così sapienti da non voler capire tutto per affidarsi e fidarsi e meditare nel cuore le cose che non si capiscono.
Paternità e maternità. La vocazione cristiana è vocazione alla divina maternità, come quella di Maria, cioè chiamata ad accogliere in noi Gesù, farlo diventare carne della nostra carne per generarlo e donarlo al mondo , cioè portarlo a santificare le attese della gente .
 
Ringraziamo il Signore per la bellissima esperienza di preghiera che ci ha donato nella Veglia Diocesana di Preghiera per le Vocazioni mentre continuiamo con gioia questo mese di maggio ‘vocazionale’.