«Non si tratta di negare – come qualcuno teme – il volto della Chiesa in quanto maestra, ma si tratta piuttosto di inserirlo dentro il volto della Chiesa come madre». Questo, nelle parole dell’Arcivescovo Erio Castellucci, è il compito dell’integrazione della catechesi «dottrinale» tradizionalmente in uso nelle parrocchie, dentro un più completo modello «esperienziale». Laddove, per «esperienza», si intende essenzialmente l’esperienza della vita cristiana, che scaturisce dall’incontro con Gesù Cristo, all’interno di una comunità che deve essere, come insegna papa Francesco «in uscita». «Prima delle gambe e delle mani, è il cuore del cristiano che deve essere “in uscita”: altrimenti neppure le iniziative più aperte e coinvolgenti faranno incontrare Gesù», ricorda Castellucci, sottolineando che «il servizio di Marta e l’ascolto di Maria devono equilibrarsi in modo da evitare sia il rischio dell’attivismo sia quello dell’intimismo».
L’apertura dell’anno pastorale, che ha visto una chiesa di Sant’Agostino – notoriamente capiente – interamente piena, è stata l’occasione per la presentazione della Lettera Pastorale «Se tu conoscessi il dono di Dio…» (Gv 4,10), interamente ripercorsa dall’Arcivescovo secondo la scansione in sette capitoli, che evidenziano altrettanti modi nei quali Gesù si rivela alla Samaritana presso il pozzo di Sichem.
Il Signore «passa attraverso l’esperienza integrale della persona», riuscendo «ad innestare il cielo del Padre nel terreno dell’uomo, le verità divine nella sete umana». A cominciare dalla scelta di recarsi al pozzo di una città difficile, all’interno di un territorio, la Samaria, considerato ostile e fondamentalmente eretico dai giudei. La Lettera Pastorale per l’anno appena iniziato mette in luce la continuità fra il magistero di Benedetto XVI e quello di papa Francesco, quando riprende il passo dell’enciclica Deus caritas est (2005), citato nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013), che recita: «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». Alla luce di ciò, l’esortazione Evangelii gaudium sottolinea l’esigenza di ritornare ad un’iniziazione cristiana di tipo «kerygmatico» e «mistagogico ». «Nelle prime comunità cristiane – ha detto Castellucci – non si spiegava il sacramento prima che esso fosse stato ricevuto, perchè si riteneva che in virtù del sacramento ricevuto fosse poi possibile comprenderlo appieno».
Ritornare al kerygma (il primo annuncio) ed alla mistagogia (il cammino di apprendimento, conoscenza e testimonianza) significa anche prendere atto dell’avvenuta secolarizzazione della società italiana, a seguito della quale non è possibile limitarsi ad una catechesi fatta di concetti da apprendere, dando per scontata un’esperienza cristiana nei luoghi di vita dei bambini e dei ragazzi, che, nei fatti, è sempre più rara. Anche per questo, la continuità fra liturgia e iniziazione cristiana si impone come una necessità. Allo stesso modo, è necessaria un’integrazione dell’iniziazione cristiana con tutti gli ambiti della vita pastorale. «L’iniziazione cristiana non può essere delegata solamente al gruppo dei catechisti, per quanto siano indispensabili, ma è tutta la comunità cristiana che educa, in modo sinodale», ha sottolineato Castellucci. Per questo, dopo l’intervento dell’Arcivescovo, sono stati presentati alcuni esempi, provenienti da diverse parrocchie, di come sia possibile fare iniziazione cristiana dando maggiore importanza alla celebrazione eucaristica domenicale, di collaborazione fra catechisti e volontari delle Caritas parrocchiali, di catechesi attraverso l’arte, il racconto e la musica. «L’esperienza cristiana, per chi vi si affaccia – bimbo, ragazzo o adulto che sia – ha il volto stesso della comunità cristiana», ha detto l’arcivescovo, ricordando come il Papa ci inviti a pensare la comunità non in modo astratto od elitario – quasi che si trattasse di un gruppo di «addetti ai lavori » – ma nei termini dell’intero Popolo di Dio. Ciò non significa che i catechisti e gli educatori debbano essere improvvisati, ma che sia possibile, per chi si occupa dell’iniziazione cristiana, prevedere una molteplicità di incontri e testimonianze che aiutino a vivere un’esperienza più incarnata del Vangelo: «Tutti coloro che possono comunicare qualcosa di “evangelico”, anche se non sono cristiani a tutto tondo, possono essere coinvolti: devono solo mettersi in cammino umilmente con gli altri, senza porsi in orgoglioso contrasto con la Chiesa, né dal versante “tradizionalista” né da quello “progressista” – si legge nella lettera pastorale – Devono insomma essere persone “normali”, la cui esperienza, con le fragilità e le ricchezze di ognuno, possa essere poi letta e interpretata insieme ai ragazzi e alle famiglie come luogo dell’azione dello Spirito».