La Chiesa modenese saluta con gioia tre nuovi sacerdoti: sono Davide Cerfogli, 35 anni, di Modena, Mattia Ferrari, 24 anni, di Formigine, e Aldo Rossi, 45 anni, di Savignano sul Panaro. La cerimonia di ordinazione presbiterale, presieduta dall’Arcivescovo Erio Castellucci, si è svolta sabato 26 maggio alle 20.30 nella chiesa di San Pietro: di seguito riportiamo l’omelia del Vescovo di Modena-Nonantola ed alcune immagini della celebrazione.
Carissimi Aldo, Davide e Mattia, “andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”. Voi potreste rispondere: “Ma come facciamo, in tre, a obbedire a questo mandato?”. Avreste ragione a dire così, però in realtà non siete in tre: state entrando in un presbiterio, anzi in un grande corpo di pastori in tutto il mondo. Di più: siete parte di un popolo diffuso in tutto il mondo, quello dei discepoli del Signore. Ma se anche foste rimasti solamente voi tre, più noi presenti oggi in questa bellissima chiesa abbaziale, non dovreste e non dovremmo preoccuparci troppo, perché gli undici discepoli che si sentirono inviare dal Risorto “a tutti i popoli” non erano migliori né più numerosi di noi. Tra l’altro erano impauriti; il Vangelo dice poi che “dubitarono”. Sappiamo bene come fossero feriti, delusi, frastornati dalla morte orribile di Gesù. Lui però invia ancora loro. Non organizza una nuova squadra, non rilancia la missione scegliendo persone più brave e coraggiose. Sarebbe stato normale – visto lo sfaldamento del gruppo alla prova della croce – azzerare l’esperienza, dichiarare onestamente il loro fallimento e ripartire con altri. Invece Gesù insiste riproponendo quelli di prima: rimette in pista gli stessi, con le loro fragilità.
Questa strana scelta, che sembra perdente in partenza, ha funzionato? Pare proprio di sì: se noi dopo duemila anni siamo qui, avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo e il battesimo, è perché quegli undici hanno accettato di essere rilanciati. A partire da loro, il Vangelo, il battesimo e i comandamenti di Gesù hanno percorso il mondo e hanno raggiunto milioni e milioni di persone. Quindi niente paura: vi inserite in una Chiesa che ha una tradizione millenaria e una dimensione universale. Ma soprattutto in una Chiesa che ha un segreto… “segreto” per modo di dire, perché in realtà Gesù l’ha divulgato ai quattro venti: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Ecco il segreto: la presenza del Risorto, attraverso lo Spirito, nella sua Chiesa. Solo la sua presenza viva trasforma undici discepoli traballanti in milioni di credenti, molti dei quali santi; cosa umanamente impossibile. La Chiesa sarebbe precipitata a terra subito dopo il decollo, se si fosse costruita su quegli undici e non sulla presenza del Risorto.
Rivolgo quindi a voi tre ordinandi, per girarla a tutti noi, una domanda indirizzata da Mosè al popolo nella prima lettura di oggi, introdotta solennemente: “Vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa” – si capisce che Mosè sta per pronunciare parole di peso – “che un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?” Se siete arrivati a questo giorno, Davide, Mattia e Aldo, dopo anni di verifica e di impegno, è perché anche voi avete “udito la voce di Dio parlare dal fuoco” e siete rimasti vivi. La voce di Dio vi ha parlato dal fuoco della vostra preghiera, della vostra famiglia e dei vostri amici, dal fuoco dei vostri formatori in Seminario e nelle istituzioni teologiche, dal fuoco delle vostre relazioni nelle comunità parrocchiali e di servizio. Sono riconoscente a tutti questi bracieri, che hanno fanno risuonare per voi la voce di Dio. Ogni vocazione infatti risuona attraverso tanti fuochi, che accendono il cuore di chi è chiamato.
Un chiamato è in realtà un incendiato. Esiste il rischio di bruciarsi? Sì, esiste. Non c’è solo il fuoco buono della chiamata che riscalda, c’è anche il fuoco cattivo dell’ustione che consuma. La psicologia ha coniato il termine burnout, che significa proprio “bruciato”, per indicare un coinvolgimento troppo intenso che può riguardare chi opera nelle relazioni di aiuto. Ad un certo punto può capitare che le richieste eccessive, unite ad una difficile gestione delle proprie emozioni, brucino le energie. Potrebbe dunque succedere anche ad un operatore pastorale, a un presbitero o a un vescovo. Per questo Mosè aggiunge che il vero miracolo è rimanere vivi, non lasciarsi ridurre in cenere. E voi siete rimasti vivi, anzi vi preparate ad essere sempre vivi, facendovi voi stessi fiamma per gli altri. Esiste però anche il rischio opposto, quello di spegnersi, di lasciar estinguere il fuoco della passione per Gesù e la Chiesa. Quando fiutate questi rischi, di bruciarvi o di raffreddarvi, non esitate a chiedere aiuto, non fatevi conquistare dall’orgoglio dei cavalieri solitari che si fanno un punto d’onore nel superare le prove senza l’aiuto di altri. Le persone non si dividono tra quelle che vanno in crisi e quelle che rimangono immuni, ma tra quelle che hanno l’umiltà e il coraggio di chiedere una mano e quelle che si illudono di farcela da soli. Quegli undici erano andati in crisi – il loro stesso numero è segno di una ferita, di uno che manca perché ha tradito – ma hanno avuto l’umiltà di mettersi in rete tra di loro, di aiutarsi l’un l’altro, di non chiudersi nei loro dubbi e nelle loro paure, di allargare il cerchio, aprirsi e annunciare. Le bruciatore e le freddezze sono sempre frutto dell’isolamento.
Carissimi Mattia, Davide e Aldo, saltando altre domande che Mosè pone nel testo – credo che nessuno protesterà per questi tagli – vi giro semplicemente l’ultima frase, volgendola al plurale: “perché siate felici voi e i vostri figli”. “Perché siate felici”: la chiamata di Dio è per la gioia: non esiste la vocazione alla tristezza. La tristezza, anzi, è la più chiara contro-testimonianza vocazionale. E Mosè parla anche della felicità dei “vostri figli”, non solo vostra. Ovviamente “i figli” nel vostro caso vanno intesi in senso spirituale, ma non meno concreto. Quando un cristiano è felice, quando un sacerdote è felice, genera felicità anche negli altri, genera spiritualmente molti figli. La tristezza è sterile, mentre la gioia è feconda. Un ministro cristiano o è felice o è fallito. Mosè anticipa l’altro famoso auspicio di Gesù: “perché la vostra gioia sia piena” (cf. Gv 15,11). Non può essere piena la gioia se rimane chiusa nell’individuo. Una gioia isolata non è gioia: soffoca e muore. La gioia esiste solo quando circola, quando diventa relazione. Il vostro ministero sarà tanto più gioioso – non dico allegro e spensierato, dico proprio gioioso – quanto più farete circolare i doni del Signore: la sua parola, la sua grazia, la sua carità. E quanto più li farete circolare tra le persone che la Chiesa metterà sul vostro cammino, senza selezionare in partenza i buoni dai cattivi, senza limitare la vostra attenzione ai meritevoli, anzi aprendovi soprattutto a coloro che non hanno da ricambiare, perché privi di mezzi, poveri di gratitudine, indifferenti, ostili. E infine un consiglio pratico, quasi banale, che però è connesso alla gioia dei fedeli: tenete le prediche corte. Una decina di minuti potranno bastare per dire le cose essenziali. E siccome io li ho già superati, concludo velocemente.
Sulla gioia il Vangelo punta alto: non si accontenta della spensieratezza e nemmeno dell’allegria, ma vuole portare alla gioia vera, la certezza di sapersi amati dal Signore. Su questa certezza avete deciso di giocare la vostra unica esistenza. Il Signore non vi deluderà, perché è un Dio fedele.