Interpellato da diverse parti per un parere circa la manifestazione del “Modena pride” e la processione di “pubblica riparazione”, entrambe previste per sabato 1 giugno 2019, lo esprimo il più brevemente possibile, rinunciando al linguaggio ufficiale e adottandone piuttosto uno quasi confidenziale.
Prima di tutto confermo la mia adesione alla visione antropologica cattolica, espressa costantemente dal magistero del Concilio Vaticano II e condensata nel magistero dei pontefici, specialmente nella Familiaris Consortio di San Giovanni Paolo II, nel Catechismo della Chiesa cattolica e nella Amoris Laetitia di papa Francesco. Credo che il matrimonio sia una comunità di vita e di amore tra un uomo e una donna, connotata da complementarità, reciprocità e generatività, e come tale rientri nel progetto stabilito da Dio creatore e confermato da Cristo redentore. Contemporaneamente, insieme allo stesso magistero del Concilio Vaticano II e dei pontefici, credo che ogni persona vada accolta e accompagnata e quindi, per quanto mi è possibile, rifiuto gli atteggiamenti discriminatori verso coloro che non condividono l’antropologia cattolica e che, rimanendo entro la legalità, decidono di manifestare pubblicamente le proprie idee. La distinzione di San Giovanni XXIII tra “errante” ed “errore” resta uno dei capisaldi dello stile evangelico assunto dalla Chiesa, che cerca sempre la sintesi tra verità e carità.
Per questo, nel sostanziale dissenso dai contenuti e dal metodo che anima il Gay pride, mi pare inopportuno creare tensioni e polemiche. È possibile e necessario un confronto costruttivo tra persone civili che hanno differenti visioni della vita: personalmente, e in rappresentanza della comunità diocesana, continuo a rendermi disponibile a questo tipo di dialogo: del resto è già avviato e portato avanti nelle comunità cristiane modenesi. Conosco e mi relaziono con diverse persone che hanno espresso il loro orientamento omosessuale e sono bene inserite anche nel tessuto ecclesiale; alcune di loro mi hanno espresso in diverse occasioni perplessità e disagio sia di fronte a perduranti atteggiamenti di derisione, sia davanti a rivendicazioni “ostentate” che ritengono scarsamente utili alla causa. Non posso poi fare a meno di esternare agli organizzatori del Modena Pride il mio disaccordo verso l’utilizzo del rosone del Duomo come “logo” della manifestazione. Si tratta di un simbolo caro ai modenesi, non solo cattolici, che sarebbe stato meglio evitare di inserire, perché finisce per costituire già di per sé una provocazione.
Sulla base delle ragioni espresse all’inizio, ho concordato con il Comitato San Geminiano vescovo fin dalla sua costituzione, nel gennaio scorso, di evitare manifestazioni che potessero fomentare gli estremismi e incentivare le polemiche. Ho subito chiarito che il Comitato non rappresenta ufficialmente la Diocesi – cosa che del resto i suoi componenti avevano ben presente – e che dunque non necessita di alcuna autorizzazione, in quanto libera espressione del diritto dei fedeli ad associarsi (cf. Codice di Diritto Canonico, can. 215); così come non necessita di autorizzazione l’organizzazione di manifestazioni o la pubblicazione di locandine. Auspico che la “processione”, quindi, avvenga secondo gli intenti preannunciati dal Comitato all’atto della sua costituzione: che sia dunque un momento di preghiera per la conversione prima di tutto dei partecipanti (e anche del sottoscritto) e non una manifestazione “contro” qualcuno.
Mi si permetta infine di augurare a me stesso e a tutti la maturazione di uno stile capace di guardare l’altro non come nemico, ma come persona che porta in sé l’“immagine e somiglianza” di Dio, anche quando sostiene e pratica idee diverse e contrastanti rispetto a quelle in cui credo. E la possibilità di manifestare le mie idee, senza venire aggredito e insultato. Si chiama, cristianamente, “stile evangelico”.
Modena, 30 maggio 2019. + Erio vescovo