Sabato 13 novembre, alle 20.30, nella chiesa di Sant’Agostino, l’Arcivescovo Erio Castellucci ordinerà tre nuovi diaconi permanenti: Matteo Solieri, della parrocchia di San Paolo Apostolo in Modena, Roberto Bandieri, della parrocchia di San Celestino in Castelnuovo Rangone, e Angelo Parretta, della parrocchia della Beata Vergine Assunta in Bastiglia.
Se oggi chiediamo in giro chi è il diacono, le risposte della gente possono essere molte: è «uno che aiuta il prete», è «uno che fa tante cose nella chiesa», è «uno che legge il Vangelo nella Messa», e altro ancora.
«Dobbiamo stare attenti a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici», come ebbe a dire Papa Francesco ai diaconi nella visita alla diocesi di Milano nel 2017. «E nemmeno va bene – aggiunse – l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i fedeli e i pastori». Se guardiamo poi quali compiti svolgono effettivamente nella vita della chiesa, le idee sembrano ingarbugliarsi ancora di più: li vediamo impiegati in una varietà molto ampia di servizi, varietà che in questi ultimi anni tende ad allargarsi sempre di più. Quale è allora la vocazione specifica del diacono? Ascoltiamo ancora il Papa che parla ai diaconi milanesi: «Il diaconato è una vocazione specifica che richiama il servizio: questa è la parola chiave per capire il carisma dei diaconi, il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio. Il diacono – per così dire – è il custode del servizio nella chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all’altare e il servizio ai poveri. La missione del diacono consiste in questo: nel ricordare a tutti noi che la fede nelle sue diverse espressioni (liturgia comunitaria, preghiera personale, diverse forme di carità) e nei suoi vari stati di vita (laicale, clericale, familiare) possiede una essenziale dimensione di servizio».
Ancora Papa Francesco in una udienza ai diaconi di Roma nel 2021: «Il diaconato ci conduce al centro del mistero della Chiesa, Chiesa che è costitutivamente diaconale». Se esaminiamo nel Nuovo Testamento i testi che parlano dei diaconi, si può ricavare un dato fondamentale sicuro: «Esiste nella chiesa un segno efficace della presenza ed azione di Cristo-servo, che si esplica in stretta collaborazione con il vescovo e si esercita in diversi ambiti della vita della chiesa» (don Erio Castellucci).
La configurazione a Cristo-servo definisce la identità del diacono, è lo specifico della sua vocazione e del suo ministero, assunto alla stregua di ogni vocazione nella chiesa: non come possesso di una esclusività, ma come segno e strumento per una animazione a favore della diaconia comune. Nei documenti del Concilio Vaticano II si specifica il diacono è chiamato al servizio, anzitutto del Vescovo, ma poi in senso generale di tutto il popolo di Dio. Il suo servire però è un servire che ha caratteristiche proprie rispetto a quello battesimale, a cui tutti i cristiani sono chiamati. «Tutti infatti, certo, sono chiamati al servizio; ma, proprio per favorire questa dedizione di tutti, esistono alcuni che – in virtù della grazia sacramentale e non delle loro semplici qualità – tengono accesa l’attenzione di tutti verso le necessità delle persone, verso chi ha più bisogno, specialmente quelle che vivono ai margini della comunità ecclesiale o ai margini della società civile. Appare quindi felice la descrizione del diaconato come ministero della soglia: segno efficace di Cristo servo, il diacono è richiamo provocatorio, per la comunità cristiana e per la società civile, al primato del servire sull’essere-serviti» (don Erio Castellucci).
«Il diacono si muove in questo contesto ed esercita il suo ministero, pur subordinatamente al vescovo al parroco, con la autorevolezza e la visibilità di un ministro, che ha ricevuto il sacramento dell’Ordine. È chiamato a garantire, con gli altri ministri ordinati, l’autenticità della vita cristiana di una comunità» (don Massimo Nardello). La molteplicità dei compiti affidati ai diaconi allora non deve dunque sorprendere oggi: il loro servizio non è infatti univocamente determinato. Per questo motivo esistono diverse forme concrete di esercizio diaconale. L’articolazione dei compiti precisi verrà determinata dalla convergenza di diversi fattori: i doni personali, le storie e le situazioni personali e familiari, ma soprattutto la concreta configurazione della Chiesa locale nella quale si svolge il ministero.
Abbiamo veramente bisogno oggi, soprattutto oggi, dopo questa terribile pandemia, di fare un cammino tutti insieme nella Chiesa, un cammino sinodale, per riscoprire le dimensioni essenziali della vita di fede. E abbiamo tutti bisogno di uomini, di donne e di famiglie “sante”, e di ministri “santi”, che siano al servizio della dimensione diaconale della Chiesa.
Matteo Solieri, l’ingegnere innamorato della Scrittura
Mi chiamo Matteo Solieri e sono della parrocchia di San Paolo Apostolo di Modena. In questi anni di preparazione al diaconato mi sono chiesto diverse volte perché impegnarsi proprio in questo cammino e non in altri. La risposta che mi sono dato ruota sempre intorno all’amore immenso che ho ricevuto e che non posso tenere solo per me. Un amore che posso gustare quotidianamente nella Parola di Dio: in questa relazione, di veramente mio non metto nulla, se non la convinta disponibilità a rimanere affascinato e stupito giorno dopo giorno.
Ho frequentato le scuole dell’obbligo presso le Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento quel breve periodo in cui aprirono anche la scuola media a classi miste – ed ho proseguito gli studi al liceo classico San Carlo, negli anni in cui fu preside lo stimatissimo professor Franco Violi. Sicuramente di esempi e di insegnamenti ne ho ricevuto tanti e tutti mi sono serviti nei duri anni dell’università dove la facoltà di Ingegneria Informatica ha messo a dura prova la mia fede e le mie certezze. Proprio in quegli anni, un’occasione dolorosa mi ha messo in contatto con don Giovanni Benassi, ottimo biblista, che proprio con il suo modo, per me innovativo, di leggere il Vangelo ha risvegliato in me un rinnovato interesse in ciò che era diventato ripetitivo e formale. Mi sono poi laureato in Ingegneria nel 1999 e lo stesso anno mi sono sposato con Rosanna; sono arrivate subito dopo le figlie Rachele e Beatrice. Infine l’approdo alla parrocchia di San Paolo Apostolo dove nel frattempo era iniziato il loro cammino scout.
È qui che mi sono sentito accolto, pur non essendo originario della parrocchia, con un’apertura straordinaria, mentre vedevo un gran bene attorno a Rachele che stava crescendo e necessitava di qualche sostegno. Proprio di fronte a questa sovrabbondanza d’amore ho cominciato a chiedermi se anche io non dovessi fare qualcosa. Su consiglio dei parroci di allora, don Angelo Bernardoni e don Carlo Bertacchini, oltre che del vescovo emerito don Giuseppe Verucchi, ho deciso di iscrivermi all’Istituto di scienze religiose «Contardo Ferrini », dove ho capito che studiare teologia era affascinante e sorprendente e ho sentito nuovamente quella bellezza della Scrittura che ha riacceso il desiderio di donarmi e di impegnarmi nella Chiesa.
Oggi sono alla vigilia dell’ordinazione diaconale e l’unica certezza che ho è di avere Qualcuno che mi ama sulla terra, ma soprattutto nei cieli e di potermi fidare ciecamente di Lui.
Roberto Bandieri, dall’agronomia all’impegno per il prossimo e il Creato
Sono Roberto Bandieri, della parrocchia di Castelnuovo Rangone, ho 56 anni, sono sposato con Paola da 23 anni ed i nostri figli sono Ludovico (21) ed Edoardo (19). Sono figlio unico e provengo da una famiglia che non aveva nessuna vicinanza specifica ai valori cristiani. Nella vita professionale sono un agronomo ed ho una società di consulenza con la quale aiutiamo le imprese agricole a svolgere al meglio la loro attività.
Da sempre ho una passione per le questioni legate allo sviluppo delle comunità rurali, dell’ambientalismo scientifico ed all’attivismo in questo campo. Da molti anni (1984) sono iscritto al Wwf ed ho svolto molte attività e ruoli in questa associazione.
L’altro campo, più recente (1995) è legato alla promozione della salute delle persone, alla tutela dei migranti, delle attività di advocacy in favore dei soggetti con fragilità ed alla diffusione e pratica del primo soccorso con la Croce rossa italiana, presso il Comitato di Sassuolo. La mia formazione ha visto dapprima il conseguimento del diploma di agrotecnico presso lo Spallanzani di Castelfranco Emilia e poi la laurea in Scienze Agrarie dell’Università di Bologna e l’abilitazione all’esercizio della professione di dottore agronomo. Sono animatore delle Comunità Laudato sì e faccio parte del gruppo «Laboratorio parrocchie sostenibili» della Diocesi di Modena. Ho frequentato la Scuola di formazione teologica all’Issre «Ferrini», concludendo gli esami in questo anno accademico. Per motivi di residenza sono stato durante l’infanzia e la prima gioventù presso la parrocchia di Sant’Agostino e poi in quella di Castelnuovo Rangone per tutta la mia adolescenza sino al matrimonio. I primissimi anni di matrimonio siamo stati residenti a Sant’Agnese, per poi ritrasferirci a Castelnuovo Rangone.
Qui ho svolto l’incarico di catechista e di animatore del team di accompagnamento delle coppie al matrimonio. Ho svolto diverse serate di guida all’ascolto della Parola con il progetto diocesano «Lampada della preghiera». Negli anni sono divenuto accolito e poi lettore. Ora siedo nel consiglio del Circolo Acli e presiedo una piccolissima associazione parrocchiale denominata «Magma» che opera in favore dei giovani della parrocchia. Durante l’avvio dell’attività di catechista e nei diversi incarichi in parrocchia, grazie a molti sacerdoti e ad un lungo percorso di discernimento, ho compreso che forse avrei potuto immaginare un impegno diverso e maggiore, ma ho faticato assai a comprendere la differenza tra una diversa mole di impegni e la chiamata.
Ho ben chiara in testa una galleria di sacerdoti che mi hanno accompagnato a capire la mia vocazione ed a seguirne la strada: don Andrea Nizzoli, don Riccardo Fangarezzi, don Luigi Biagini, don Guido Bennati, don Isacco Spinelli, don Daniele Bernabei, ed oggi don Fabrizio Colombini. mio parroco, che è la mia guida spirituale ed il destinatario dei miei dubbi e delle mie angosce sul: «Ce la farò? Come farò?».
Mi appresto ad iniziare un servizio, che mi affascina tanto quanto mi preoccupa l’esserne all’altezza; credo che la preghiera, la Parola e il camminare insieme saranno gli strumenti da tenere sempre appresso.
Ho un piccolo faro che mi guida; cinque versetti del secondo capitolo della Lettera di Giacomo: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: “Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”». Queste poche righe sono l’incipit senza tempo di qualunque storia di servizio e di carità; oggi quelle sorelle e quei fratelli sono centinaia di milioni in tutto il mondo e quelli sprovvisti del cibo quotidiano lo sono spesso per il clima, per l’avidità degli uomini, per la perdita di biodiversità e per tanti altri fattori globali.
Angelo Parretta, tra il lavoro e l’attenzione agli “invisibili”
Mi chiamo Angelo Parretta, ho 55 anni sono un operaio metalmeccanico. Sono sposato con Carmela da 31 anni e abbiamo 3 figli: Giovanni, Domenico e Maria. Recentemente, abbiamo avuto il piacere di diventare anche nonni di una splendida nipotina di 6 mesi, Desirèe, nata dal matrimonio tra il mio primogenito Giovanni e Noemi.
Siamo originari della Campania, io della provincia di Napoli e mia moglie della provincia di Caserta. Nel 1998 ci siamo trasferiti a Bastiglia. Ad esser sincero, il vero servizio diaconale lo svolge mia moglie: lei dedica la sua vita al servizio dei figli e delle nuore ma soprattutto della nipotina, senza mai lamentarsi. C’è molto da imparare da lei ed è molto attenta al mio cammino con consigli e a volte anche con qualche rimprovero.
Frequentiamo la parrocchia di Bastiglia dove siamo stati accolti e adottati. Spiritualmente sono cresciuto sotto la guida del parroco emerito don Odoardo Balestrazzi, che inizialmente mi aveva proposto di diventare ministro straordinario. Dopo diversi anni mi ha proposto l’opportunità del cammino diaconale e io lo accettai. Siccome in quel periodo subentrò don Marius Zaras, come nuovo parroco, fu lui a riformulare la mia candidatura al cammino diaconale.
In parrocchia svolgo servizio all’altare, faccio il catechista e mi prendo cura dei cosiddetti «invisibili», ovvero di quelle persone che a causa della loro sofferenza non possono venire a Messa la domenica. Di tutti i servizi che svolgo quest’ultimo è quello che spiritualmente mi gratifica di più. L’incontro con queste persone per me è meraviglioso, semplicemente perché dopo torni a casa consapevole di aver ricevuto tanto da loro, più di quando tu credi di aver dato e condividendo parte della loro sofferenza.
Con molta franchezza, io non avrei mai immaginato di intraprendere un cammino diaconale, anche se c’è stato un momento molto particolare della mia vita nel quale ho aperto totalmente il mio cuore a Gesù e con la «complicità» di Maria, entrambi hanno cambiato la mia vita. La mia è stata una crescita spirituale svezzata piano piano proprio come quando si svezzano i neonati. Sono stato circondato da persone meravigliose delle quali, senza questo percorso, non ne avrei conosciuto l’esistenza e queste persone mi hanno sostenuto molto nel mio cammino di fede.
Molto importanti nel mio cammino sono stati sicuramente anche gli studi di Teologia e la formazione diocesana. In tutto ciò e di questo ne sono certo, c’è sempre lo sguardo di Dio che ti avvolge e ti abbraccia. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno contribuito a far sì che io possa ricevere questo dono, che sono estremamente felice di condividere.