“Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?” (Marco 16,3). Ormai non si poteva parlare più che di pietre e di sepolcri: tutto era finito con la morte in croce. Le donne che vanno al sepolcro, all’alba della domenica, ragionano di cose morte: il masso, la tomba, la salma di Gesù da ungere. Sono ben lontane dall’immaginare ciò che avrebbero trovato: il masso spostato, il sepolcro spalancato, un uomo vivo al posto del cadavere di Gesù. La morte è vinta proprio là dove sembrava trionfare: l’interno di una tomba. Il masso rotolato sulla bocca del sepolcro doveva essere il sigillo definitivo dell’eliminazione di Gesù. Affare compiuto: gli spregiudicati potenti dell’epoca erano finalmente riusciti a metterci, letteralmente, una pietra sopra. Quel Galileo così strano, quel sobillatore anomalo, quel pericoloso straniero non darà più fastidio. Così, almeno, si illudevano. In realtà, la vittoria della pietra sulla vita dura poche ore, perché poi la vita ribalterà la pietra. E la storia riprenderà su nuove basi: un lampo di speranza per tutti, specialmente per i calpestati dall’ingiustizia, tornerà a balenare. Un lampo, che rischiara il buio altrimenti impenetrabile del sepolcro, fa ripartire il gioco della vita.
È l’energia invincibile dell’amore. Gli ebrei, nell’altissima poesia del Cantico dei Cantici, avevano già intuito che l’amore è forte come la morte (8,6). Ma ai cristiani non basta: l’amore per loro è più forte della morte. Proprio là dove la morte sembrava vincere, l’amore sfolgora e restituisce vita. Proprio là, non altrove; dentro al sepolcro, nel cuore della terra, nel buio della notte. L’amore non teme di far visita alla morte. La luce del Signore non teme di calarsi nelle tenebre di una tomba. E la condizione per ricevere l’annuncio della risurrezione è il coraggio di visitare il sepolcro. Le donne, non gli uomini, hanno avuto l’ardire di farlo, all’alba della domenica. I discepoli si erano dispersi il venerdì della croce, mentre le discepole hanno attraversato il sabato del sepolcro e sono giunte alla domenica della vita.
Come i discepoli di Gesù, molti cercano di fuggire i sepolcri, volgendo lo sguardo altrove: sofferenze, ingiustizie, povertà, violenze, soprusi, malattie… la visita alle ferite umane non fa parte degli itinerari turistici classici. Il sepolcro più difficile da aprire è il nostro cuore, spesso ostruito dalla pesante pietra dell’egoismo. Ma altri hanno invece il coraggio di visitare le fragilità e le sofferenze dei fratelli, come fanno le discepole di Gesù, per spandere l’unguento dell’amore e della giustizia. Grazie a Dio, lampi di vita percorrono spesso le nostre case, gli uffici, le fabbriche e le scuole, i luoghi di lavoro e di svago, di cura e di incontro. Le pietre rotolano via dal cuore, quando arriva l’energia dell’amore, quando qualcuno ha il coraggio di gettare il ponte della condivisione.
Una bimba di nove anni, pochi giorni fa, ha avuto il coraggio di gettare questo ponte, visitando la sofferenza di un giovane e comunicandogli un lampo di vita. Non un giovane qualsiasi, ma un cantante già famoso, al termine di una breve esecuzione, si è sentito dire da una sua piccola ammiratrice: “io so che tu soffri, per la morte di tuo padre”. E lui: “è vero”… La bimba ha ripreso: “anch’io soffro, perché qualche anno fa hanno ucciso e bruciato il mio fratellino”. La bimba era stata sottratta a una famiglia, implicata nella rete della malavita, che per una vendetta mafiosa aveva patito questo orrendo crimine. Quello della bimba è semplicemente il metodo di Gesù e delle sue discepole: visitare i sepolcri “da dentro”, per portare amore, comprensione e vita. Entrare nelle ferite umane, per condividerle e alleviarle. È il miracolo della Pasqua.