‘Nei tempi bui del secondo conflitto mondiale, la Chiesa si trovò a dover dare risposte alle domande di vita della popolazione. Le scelte furono fatte in nome del Vangelo, questo impedisce di ridurre la risposta al solo piano politico, perché in gioco c’era il destino dell’uomo. Sono state scritte pagine esemplari come quella che ricordiamo oggi, ma non possiamo dimenticare la rete diffusa che si attivò, tra sacerdoti e laici, sollecitata da quel bagaglio formativo che apparteneva alla tradizione e chiedeva di farsi tangibile, in quelle circostanze’. Questa la visione dello storico Paolo Trionfini, per inquadrare il contesto in cui don Arrigo Beccari, il dott. Giuseppe Moreali e tutte le persone che operarono con loro nel mettere in salvo i ragazzi accolti a Villa Emma. Il sacerdote ed il medico, nelle parole dei testimoni, non avevano desiderato i riflettori sul loro operato, ma il dovere della memoria spetta oggi a chi deve far conoscere, specie alle giovani generazioni, come è possibile rispondere alle tragedie dell’uomo.
‘Lo sguardo sulla realtà ‘ ha sottolineato Marco Tarquinio, direttore di Avvenire – serve a collocare qualche punto fermo dell’esperienza di vita delle comunità cristiane che, con gli strumenti di allora, in modo spesso nascosto, lontane dai canali ufficiali, attraverso le reti informali, come gli allenamenti di Gino Bartali che portava documenti tra Firenze ed Assisi, riuscirono a dare rifugio ed accoglienza agli ebrei’.
I 73 ragazzi ebrei accolti a Villa Emma furono messi in salvo, in parte in Seminario ‘ ‘Nel nome del Signore, entrate’ furono le parole dell’allora rettore mons. Ottaviano Pelati al loro ingresso ‘ e in parte nascosti presso le famiglie del territorio: in sala si sono udite le voci di chi, allora, fu protagonista, ancorchè giovane, di quella storia.
Attraverso questi episodi, diffusi in tutto il nostro paese, nonostante l’antigiudaismo a volte manifestato dalla Chiesa e la non piena conoscenza dell’orrore che si stava consumando nella Shoa ‘ ha evidenziato ancora il direttore ‘ sono stati accolti non solo gli amici, le persone conosciute, ma anche chi veniva da fuori ed era in pericolo.
Le persone hanno amato così come era stato loro insegnato e questo ha determinato la salvezza di un’intera civiltà, che nel buio della guerra rischiava di essere travolta dalla bufera dell’odio.
La lapide benedetta dal vicario generale mons. Giacomo Morandi, alla presenza del sindaco Pier Paolo Borsari e di moltissimi cittadini, sulla facciata del Palazzo Abbaziale di Nonantola, è il segno di una comunità che ricorda questi uomini, giusti tra le nazioni e testimoni del Vangelo, per continuare a testimoniare i valori da loro incarnati.
Don Emanuele Mucci, che fu allievo di don Beccari e condivise con lui gli anni di Rubbiara.
‘Ho confrontato con i testimoni di allora ‘ ci racconta ‘ come don Vigarani, don Ballestrazzi, don Mantovani e don Leonelli, i miei ricordi e ho cercato le testimonianze del tempo. La scelta di orre la lapide ha il significato di ricordare, anche oggi, quello che la Chiesa aveva rappresentato, non solo per gli ebrei, ma in tutto il periodo bellico. I sacerdoti pagarono con carcere e condanna a morte le loro scelte. Il ricordo è per don Arrigo e il dottor Moreali, ma anche per mons. Ottaviano Pelati, don Ennio tardini, don Domenico Silingardi, le suore Ancelle Adoratrici, che hanno consacrato la vita per i sacerdoti, insieme alle famiglie di Nonantola che hanno accolto l’appello di don Arrigo e si son rese disponibili a correre i rischi inevitabilmente legati alla scelta’.
Intorno alle vicende legate a Villa Emma la memoria storica nonantolana è già molto viva, ma è importante che avvenga il passaggio alle nuove generazioni.
‘La lapide ‘ prosegue don Mucci ‘ vuole ricordare cosa avvenne la sera dell’8 settembre ’43, dopo l’annuncio dell’armistizio: l’immediata ospitalità data agli ebrei di villa Emma, la notte stessa. Questo fu determinato dalla profonda amicizia che c’era tra don Arrigo, Moreali, gli insegnanti della scuola ebraica di villa Emma, insieme a legami culturali molto forti e alla conoscenza delle vicissitudini familiari dei giovani della scuola. Il sacerdote ed il medico avevano inoltre una sensibilità politica comune, erano sorvegliati speciali della Questura. Le richieste dei due ‘giusti’ hanno ottenuto una risposta immediata ed adeguata da parte del vicario generale mons. Pelati: in prima persona ha ritenuto di offrire questa opportunità ai ragazzi, accogliendoli subito nel palazzo abbaziale: ‘Nel nome del Signore, entrate’ questa fui la sua risposta alle richieste, la frase che sintetizza il significato del gesto.
Il testo del ricordo sottolinea il clima religioso e la segretezza degli avvenimenti ricordati, e di quelli successivi, che culminarono con l’arresto e la condanna di don Arrigo, don Ennio e don Ivo. Il loro comportamento in carcere però riuscì ad impedire una rappresaglia su tutte le altre persone coinvolte nella vicenda. Erano pienamente consapevoli che la situazione era compromessa, per quello chiesero le preghiere alle suore di clausura. Tre giovani monache sono morte prima della fine della guerra – ricorda ancora don Emanuele – affermando che i tre sacerdoti sarebbero tornati poi a ringraziare. E così è stato’.
Una intera comunità scelse di mettersi in gioco, con quel gesto d’accoglienza: è un tratto fondamentale di questo episodio della nostra storia. ‘E insieme ricordiamo l’importanza dell’operato di mons. Pelati: erano anni in cui il vescovo mons. Boccoleri era soggetto ad attacchi anche a mezzo stampa di tutte le forze in conflitto. Il vicario era un uomo di cultura e grande spiritualità, la persona più adatta, per il prestigio di cui godeva presso le autorità, per sostenere i cattolici e la resistenza nella bassa’.
Dopo l’albero dei giusti, dopo le numerose iniziative in loro memoria, oggi anche questa lapide: ‘Don Arrigo e il dott. Moreali ‘ precisa ancora don Mucci – nella loro vita non avrebbero desiderato troppa pubblicità al loro gesto: ma noi siamo la generazione che ha seguito le loro impronte pensiamo a questo ricordo come ad un dovere morale, perché ci solleciti, ancora, fare come loro, per dare gloria al Padre nostro nei cieli. Don Arrigo e il dott. Moreali sono, per la storia recente di Nonantola, le figure più luminose e simbolo delle impronte che la cultura e la spiritualità cristiana lasciano nel cuore della gente, da tutti riconosciuti come giusti tra le nazioni e testimoni del risorto’.