Cinquantadue anni di sacerdozio festeggiati lo scorso 18 giugno concelebrando una Messa a Santa Marta con papa Francesco. Monsignor Lino Pizzi, vescovo emerito di ForlìBertinoro, è tornato nella sua Rivara dopo 12 anni alla guida della diocesi forlivese.
Ripercorriamo insieme a lui gli anni da vescovo, tra gioie e difficoltà.
Monsignor Pizzi, da Forlì a Rivara come è cambiata la sua vita?
Il passaggio non è terminato: vivo in canonica dal 22 aprile scorso, ma devo ancora finire di sistemare alcune cose, in particolare tutti i libri. Il mio nuovo ruolo è di supporto ai sacerdoti dell’unità pastorale di San Felice. Non sono né parroco, né cappellano, ma un collaboratore, anche se per il momento, essendoci state le Cresime, ho potuto celebrare solo un paio di Messe.
Lunedì scorso, in occasione del suo anniversario di ordinazione, è stato a Roma per una Messa speciale…
Sì, ho concelebrato insieme a papa Francesco nella chiesa di Santa Marta. È stato molto bello ed emozionante, alla fine della celebrazione ho potuto anche scambiare qualche parola con il papa.
Che cosa vi siete detti?
Quando ha saputo che non ero più vescovo di Forlì-Bertinoro, il Santo Padre mi ha chiesto se fossi ancora stanco, gli ho risposto che non sono andato in pensione, ma sono andato a lavorare da un’altra parte.
Facciamo un passo indietro. Nei 12 anni trascorsi alla guida della Chiesa di ForlìBertinoro, quali sono stati i momenti più significativi?
Ce ne sono stati tanti, a partire dalle visite pastorali, momenti preziosi per incontrare le parrocchie e le comunità. E poi il convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006 e quello di Firenze del 2015, oppure le assemblee generali della Cei, nelle quali sono stati fissati gli orientamenti pastorali dei decenni 2000/2010 e 2010/2020. Sono stati anni molto intensi, con tante responsabilità e altrettanti momenti di gioia.
Le principali difficoltà?
Come molti altri vescovi ho dovuto fare i conti con la mancanza di sacerdoti e un clero sempre più anziano. È sempre più difficile provvedere a tutte le parrocchie e sono stato costretto a chiedere grossi sacrifici ai miei sacerdoti, ma questa è una situazione in cui si trovano moltissimi pastori.
Quali sono state invece le soddisfazioni più grandi?
Posso dirmi fortunato perché ne ho avuto tante, dalle ordinazioni sacerdotali alle feste diocesane. Un momento che ricordo con particolare gioia è l’ordinazione episcopale di don Erio Castellucci.
Quando ho ricevuto la notizia della sua nomina sapevo che avrei perso tanto, le qualità di don Erio erano note, ero consapevole che mi sarebbe venuto a mancare uno dei sacerdoti più capaci della mia diocesi. Proprio perché conoscevo la sua preparazione sapevo che non sarebbe stato giusto trattenerlo.
Una scelta sofferta per entrambi…
Perdevo un collaboratore molto valido e prezioso, in sette anni avevamo costruito un ottimo rapporto. Ricordo ancora quando mi chiamò dopo aver incontrato il nunzio apostolico. Mi disse che era stato l’incontro più difficile della sua vita e mi spiegò che aveva elencato al nunzio tutte le ragioni per rifiutare l’incarico, e che la risposta era stata l’elenco delle ragioni per cui avrebbe dovuto accettare. Gli dissi che era meglio che dicesse di sì e lui seguì il mio consiglio.
E dopo tre anni tornate nella stessa arcidiocesi, non più Forlì-Bertinoro, ma Modena-Nonantola. In conclusione, quale augurio fa alla Chiesa modenese e al suo pastore?
Don Erio è stato accolto molto bene a Modena e quindi l’augurio è proseguire su questa strada, ovvero che la comunità resti unita nell’affrontare le difficoltà che possono sorgere, rimanendo sempre vicina al proprio pastore.