Due vescovi emeriti, mons. Verucchi e mons. Bernardini, alla chiusura della Porta Santa diocesana, una settantina di sacerdoti e il duomo gremito; sono state infatti distribuite oltre 1000 copie del Vangelo che rappresenta il segno, per la nostra comunità diocesana, dell’anno della misericordia che si conclude, per trasferire nella vita quotidiana questo atteggiamento verso il prossimo.
Ecco il testo dell’omelia del Vescovo nella celebrazione di chiusura.
L’impatto delle letture di oggi è forte è sembra suggerire che davvero si chiudano le porte giubilari della misericordia e si aprano quelle della violenza e della vendetta. Il profeta Malachia annuncia un giudizio che sarà come un “forno”, un fuoco che divora; e Gesù preannuncia tutti i possibili disastri: guerre e rivoluzioni, terremoti, carestie, pestilenze, fatti terrificanti e segni grandiosi nel cielo; e soprattutto dice che i suoi discepoli saranno perseguitati: consegnati ai re e ai governatori, traditi persino dai propri cari. Ma una delle profezie che doveva colpire di più gli ascoltatori ebrei era la distruzione del Tempio: “verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Per gli ebrei infatti il tempio era il segno più sacro, il simbolo della religione e della nazione, il frutto della conquista e del sacrificio di generazioni, il centro del mondo, la dimora terrena del Signore. Che cosa significa? Possibile che la parola di Dio oggi ci voglia spaventare?
Significa, prima di tutto, che questo mondo è destinato a passare e porta sempre i segni di questa sua fragilità. I disastri descritti dal Vangelo in realtà accadono continuamente; di guerre ve ne sono state migliaia nella storia e ve ne sono anche oggi nel mondo: decine di nazioni si stanno combattendo anche ai nostri giorni, pur non facendo quasi mai notizia; terremoti e maremoti sono continui nel nostro pianeta e anche nella nostra nazione, anche se per fortuna non sempre sono rovinosi: tante sono poi le persecuzioni negli Stati dove non c’è libertà di pensiero e di religione, e sono più di cinquanta: circa un quarto delle nazioni del mondo. Chissà come risuoneranno attuali le parole di Gesù per quei cristiani, decine e decine di milioni, che non possono esprimere liberamente la loro fede. E di imbroglioni, che si spacciano per profeti e ingannano la gente, se ne trovano a non finire. Persino la profezia sull’odio dentro la propria famiglia si realizza quotidianamente: non solo l’odio religioso, ma anche la violenza dentro le mura domestiche ed ogni ostacolo familiare all’accoglienza della vita nascente e all’accompagnamento della vita fragile e morente. Sappiamo infine oggi con certezza che anche i “segni grandiosi dal cielo” di cui parla Gesù prenderanno forma concreta, se non altro per il fatto che il sole tra cinque miliardi di anni esploderà e ridurrà la terra a un carboncino.
È dunque finita la misericordia? No, il Salmo 135 ci assicura che “eterna è la sua misericordia”. Noi cristiani non possiamo vedere tutto nero, sebbene l’informazione spesso si concentri sulle espressioni dell’odio e si disinteressi dei gesti d’amore. Siamo anzi certi che al di sotto dell’odio che distrugge c’è tanto più amore che costruisce. Certo, verrà distrutto tutto quello che si vede: le costruzioni di pietra, la terra, il cielo, tutto. Tutto tranne però… un capello: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”. È davvero un contrasto paradossale quello che stabilisce Gesù: le cose imponenti, come il tempio di Gerusalemme, che occupava circa 150.000 mq – il nostro Duomo ci sarebbe stato dentro 90 volte – verrà distrutto pietra su pietra; mentre una cosa esile come un capello del capo sopravviverà. La misericordia di Dio si lega ad un capello. Perché questo capello, in realtà, è più forte del tempio. Mentre il tempio simboleggia la potenza umana, racchiude tutta la grandezza che l’uomo è capace di manifestare, il capello manifesta la cura di Dio per l’uomo, la sua premura per le cose fragili. Il fuoco divino di cui parla Malachia avrà due volti: sarà forno che distruggerà come paglia i superbi e gli ingiusti, ma sarà sole benefico che trasmetterà energia a coloro che temono Dio e operano la giustizia.
Il giudizio di Dio, quindi, non è affatto rinuncia alla misericordia, ma è pienezza di misericordia, perché Dio si fa carico nel suo cuore della miseria umana: si fa carico del capello, cioè di chi subisce, di chi è vittima, di chi nel silenzio opera la giustizia e la pace, di chi ama: mentre brucia le scorie dell’ingiustizia e della superbia, che sono come paglia davanti a lui. Il Vangelo di oggi è come un’ammonizione in una partita di calcio: mette sull’avviso per evitare l’espulsione. Il Signore, che è misericordia, ci mette in guardia dall’ammassare le pietre che costruiscono il tempio della superbia e della violenza e ci invita a riconoscere il capello della carità e della perseveranza. Ci richiama ad usare le nostre forze per colmare le ingiustizie verso coloro che non hanno le forze per ottenere giustizia.
Ringrazio tutti coloro che in questo anno giubilare si sono spesi per farsi strumento della misericordia del Padre: specialmente i presbiteri, che hanno intensificato la predicazione e amministrato il sacramento della penitenza, i diaconi e i ministri istituiti. Ringrazio coloro che hanno reso possibile l’accesso a questo Duomo, attraverso la Porta Santa diocesana, e in particolare il Capitolo della Cattedrale e il suo Arciprete maggiore; e coloro che, nelle altre Chiese in cui è stata aperta una Porta Santa, hanno offerto tempo e disponibilità per accogliere i fedeli. Grazie a tutti. Le porte della misericordia si chiudono materialmente, ma rimangono aperte in realtà per sempre. Si chiudono, perché ciò che è straordinario deve lasciare il passo all’ordinario, la misericordia accordata in modo sovrabbondante in questo giubileo deve lasciare il passo allo stile ordinario della misericordia, all’attenzione quotidiana alle miserie umane. Come la festa deve lasciare il posto alla feria, così l’anno santo si trasferisce da oggi nell’anno ordinario; e come la festa dà la forza di vivere la feria, così l’anno giubilare rafforza l’impegno nell’anno ordinario. La perseveranza, con la quale salveremo la nostra vita, come dice Gesù, non ha il sapore grandioso dello straordinario ma ha il sapore quotidiano dell’ordinario.