«L’arte, oltre ad essere testimone credibile della bellezza del creato, è anche uno strumento di evangelizzazione: attraverso l’arte – la musica, l’architettura, la scultura, la pittura – la Chiesa spiega, interpreta la rivelazione. La bellezza rappresenta una via per incontrare il Signore. L’arte ha in sé una dimensione salvifica e deve aprirsi a tutto e a tutti, e a ciascuno offrire consolazione e speranza».
Queste le parole con cui Papa Francesco, con la consueta forza e limpidezza comunicativa, dà la sua definizione di «arte» ne La mia idea di arte (2015): una definizione che trova pienamente concordi tutti coloro che operano nel complesso e affascinante ambito della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico.
Si tratta di un mondo fatto di opere d’arte più o meno portatrici di valenze storiche e artistiche, ma soprattutto testimoni della fede cristiana lungo i secoli, segni di continuità del messaggio evangelico, capaci ancor oggi di parlare, esprimendo la fede viva che le ha viste nascere attraverso le lunghe radici della tradizione, immerse nella storia, nella memoria e nell’identità di un territorio. Proprio per questo l’arte sacra, con i suoi colori, le forme, i soggetti, i contenuti, diventa un linguaggio universale, uno strumento di dialogo nei confronti anche di chi non ha fede: un «luogo dello spirito» in cui tutti sono invitati ad entrare, credenti e non credenti, sacerdoti e laici, persone erudite e incolte.
L’opera d’arte sacra infatti ci accoglie, ascolta le nostre domande, si lascia attraversare dalle nostre inquietudini, proponendosi come uno spazio aperto all’incontro, al dialogo, alla cultura.
Ma come si può far «parlare» l’arte sacra? Innanzitutto occorre conoscere il patrimonio culturale diocesano con un’azione capillare e coordinata: su questo fronte la diocesi è impegnata da 20 anni con l’inventario dei beni storico–artistici e, più recentemente, con il censimento degli edifici di culto. Sono progetti molto impegnativi che hanno prodotto una banca dati dai numeri straordinari: 60mila schede di opere d’arte e oltre 450 schede relative a chiese parrocchiali, sussidiarie, oratori e santuari. Un patrimonio cospicuo, che necessita per la sua conservazione di interventi spesso molto costosi e dunque insostenibili economicamente da parte delle comunità parrocchiali.
Per questo motivo, in un’epoca in cui i finanziamenti statali sono pressoché scomparsi, i contributi 8xmille per i beni culturali erogati dalla Cei alla nostra diocesi negli ultimi 20 anni sono stati una vera àncora di salvezza. Innanzitutto hanno finanziato il progetto dell’inventario e una parte significativa dei restauri realizzati dal 2000 ad oggi: sono contributi importanti, che hanno permesso di riconsegnare al pubblico culto chiese con gravi dissesti strutturali, campanili con lesioni di grave entità, ma anche dipinti, sculture e altre opere d’arte che pur appartenendo a parrocchie rappresentano l’identità culturale di un territorio, di un paese, di una intera comunità.
Un viaggio intorno a queste realtà «salvate» ci porterà a scoprire che sostenere l’8xmille alla Chiesa cattolica significa – tra le altre cose – finanziare azioni di salvaguardia e valorizzazione del nostro patrimonio storico–artistico, più o meno nascosto, conservato in un territorio ampio e variegato, che va dalla Bassa all’Appennino. Si tratta di un «capitale» che è di tutti, credenti e non credenti, in quanto segno e immagine della bellezza, della cultura, della spiritualità, della storia, e che grazie alla sua «rinascita» ritorna compartecipe della vita di tutta la collettività, religiosa e civile.
Simona Roversi,
direttrice Ufficio diocesano beni culturali ecclesiastici