Dopo la scoperta avvenuta nel 2002 e i successivi interventi di studio e restauro, gli sciamiti dell’alto medioevo ora vengono presentati nel nuovo allestimento del Museo Diocesano di Nonantola. L’Abbazia benedettina, fondata dall’abate Anselmo intorno alla metà dell’VIII secolo morto in odore di santità il 3 marzo 803, al quale successe l’abate Pietro che fu incaricato da Carlo Magno di regolarizzare la questione dell’impero presso Costantinopoli nonché l’abate Ansfrith o Anfrido che svolse un’importate ambasceria sempre a Costantinopoli, già dal 756 possedeva le reliquie di san Silvestro I, secondo la tradizione, portate a Nonantola dal suo fondatore e proprio da quella data possono iniziare le ricerche inerenti le sacre reliquie tessili qui presentate. Gli studi hanno seguito un percorso incentrato sulle vicende riguardanti le reliquie dei santi nonantolani: Silvestro, Anselmo, papa Adriano III, Anseride, i martiri Sinesio e Teopompo e quelle discusse di santa Fosca. Nessuna notizia documentaria ricorda le sante reliquie quando nell’899 l’abbazia fu soggetta alle incursioni ungariche e neppure quando nel 1013 la chiesa subì un incendio. Le vicende successive sembrano non suggerire nessuna indicazione sui tessili. Bisogna attendere la ricognizione del 1914 per incontrare qualche indizio. Il 9 luglio di quell’anno furono esaminati i resti di san Silvestro custoditi nell’urna di marmo che appunto conteneva le ossa avvolte in una ‘stoffa rossa’; il 29 ottobre la ricognizione riguardò i resti dei santi Adriano e Anselmo che erano contenute in un involucro di ‘stoffa gialla’, mentre un altro involucro ‘rosso’ conteneva i resti di sei scheletri. Ecco le prime notizie sicure inerenti i due rari sciamiti. Si tratta di due manufatti di straordinaria importanza storico-artistica da attribuire al IX-X secolo. Il primo è una parte di ‘casula a campana’, ovvero uno sciamito di costruzione classica istoriato che rappresenta il simbolico motivo dell’aquila inscritta entro un grande orticolo, certo uscito da una manifattura imperiale bizantina. Il secondo, di forma rettangolare e frammentaria, è ugualmente uno sciamito monocromo di colore giallo-verde mandorla ma propone un ricamo in oro filato e sete policrome che illustra leoni, cervi, leprotti e motivi vegetali e geometrici, forse realizzato in un opificio del vicino Oriente o dell’Egitto fatimita.
Riguardo al reperto rosso, con le aquile, il maestoso impianto compositivo, dove si riscontrano reminiscenze dell’arte sasanide e da porre a confronto con l’arte creata prima e durante la dinastia dei Macedoni (867-1057), è da confrontare con lo sciamito con ‘elefanti’ ritrovato nel Reliquiario di Carlo Magno ad Aquisgrana dove fu deposto nel 1000 da Ottone III ma da ritenersi tessuto ‘solo dopo la morte di Carlo Magno’ (814) e lo sciamito con il simbolico ‘semurv’ custodito presso l’Abbazia di San Salvadore sul Monte Amiata e da attribuire al IX secolo. Le notizie raccolte, i confronti stilistici e quelli tecnici, suggeriscono l’attribuzione proposta anche se alcuni aspetti sembrano restare misteriosi, lasciandoci un indiscutibile fascino dovuto ai messaggi che la loro maestosità ci trasmettono.
Il reperto ‘giallo’ in realtà è un un frammento di forma rettangolare di sciamito classico monocromo di colore giallo-verde mandorla ricamato con oro filato e sete policrome che rappresentano leoni, cervi e leprotti, animali simbolici, uniti a motivi vegetali e geometrici, con molta probabilità uscito da un opificio del vicino Oriente o dell’Egitto fatimita.
Le notizie raccolte, i confronti stilistici e quelli tecnici, suggeriscono l’attribuzione proposta anche se alcuni aspetti sembrano restare misteriosi, lasciandoci un indiscutibile fascino dovuto ai messaggi che la loro maestosità ci trasmettono.
I tessuti sono stati riportati alla loro originaria bellezza mediante un’attenta operazione di restauro finanziata dalla Soprintendenza di Modena e grazie ad una generosa donazione dei Lions di Castelfranco Emilia e Nonantola.