“Accettando di compiere il viaggio – ha concluso il Vescovo – non solo con gli altri, ma anche per gli altri, noi ci complichiamo la vita; ma ce la complichiamo per amore, perché sappiamo di non essere delle isole, perché intendiamo mettere i nostri doni – pochi o molti che siano – a servizio dei fratelli. Il giovane Geminiano, quando seppe che volevano farlo vescovo dopo la morte di Antonino, si nascose tra i boschi di Saliceta: inutile tentativo, perché fu scovato e costretto ad accettare. Gli incarichi di responsabilità, in tutti i campi, destano timore, poiché prestano il fianco a critiche e accuse e rendono vulnerabili; per questo richiedono grande libertà interiore e dedizione disinteressata: conquiste mai del tutto raggiunte. E richiedono soprattutto di mettersi dalla parte dei deboli, delle folle stanche, di coloro che sono più esposti alle ingiustizie. Richiedono, come ho provato a dire nella Lettera alla Città, di considerare sempre l’essere umano prima delle categorie a cui appartiene, di mettere sempre il sostantivo “persona” prima di ogni aggettivo. Se un’autorità qualsiasi, anziché “debole con i deboli” – come chiede San Paolo – si facesse “forte con i deboli” o “debole con i forti”, contraddirebbe il suo compito fondamentale, che è quello di riportare e assicurare la giustizia. La “compassione” che prova Gesù, di fronte alle folle stanche e sfinite, non è alternativa alla giustizia, ma ne è l’anima: compensa quella debolezza che spesso rende impossibile agli ultimi di far valere i loro diritti”.
In allegato il testo integrale del saluto e dell’omelia