Grazie per aver scelto di dedicarvi a riaccendere la vita

 
Duomo gremito e un centinaio di sacerdoti presenti all’ordinazione di don Andrea Ballarin, don Federico Manicardi e don Claudio Milioli, il 4 giugno in cattedrale. Dopo la Liturgia della Parola il primo passo, la presentazione degli ordinandi da parte del Rettore del Seminario don Federico Pigoni. Nell’omelia il vescovo Erio ha ricordato che la vita è piena di contrasti, il più netto tra la vita e la morte, ma la Parola di Dio posta speranza. Ha poi rivolto queste parole ai nuovi sacerdoti:   “Andrea, Federico e Claudio: grazie per avere scelto di dedicarvi a riaccendere la vita. Passerete qualche volta per ingenui, sognatori e illusi, perché seguite uno che promette la vittoria della risurrezione sulla morte, dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta. Forse vi sentirete dire da qualche persona ferita dal dolore le parole della vedova ad Elia: “Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio?”. Non fatevi prendere, nemmeno in questi casi, dalla tentazione della fossa, dal rischio di seppellire la vostra gioia: se diventerete tristi, non riuscirete a riaccendere la vita, né in voi, né negli altri. Un prete triste è un controsenso, perché anziché gioia e vita trasmette lutto e lamento: il contrario del Vangelo, “buona notizia”. Due segreti indica la parola di Dio per non cadere nella fossa e trasmettere vita.
Il primo: “il Signore fu preso da grande compassione”. Gesù non passa sopra il dolore e nemmeno passa accanto con una parola buona; lui passa dentro il dolore, anzi lo fa passare dentro di sé: lo lascia entrare nel suo cuore. Gesù, semplicemente, è umano. È talmente divino che è totalmente umano. Riaccendere vita nei fratelli significa prima di tutto essere umani: insieme alla capacità di predicare, celebrare, guidare e organizzare, è ancora prima necessario accogliere, dialogare, salutare, sorridere, condividere gioie e fatiche, camminare assieme, abbracciare, consolare, informarsi sulla salute e sugli affetti, incoraggiare. Vedendo il corteo funebre, Gesù non si mette a predicare sulla vita eterna, ma si lascia commuovere e cerca di confortare: “non piangere!”. Non mandate in pensione la vostra umanità: mantenetela come perno del vostro ministero.
Il secondo segreto per trasmettere vita lo indica San Paolo: pur essendo stato convertito dal Signore in persona, dopo tre anni di ritiro cerca l’incontro con Pietro e Giacomo a Gerusalemme. Non vuole fare l’eroe solitario, ma vuole offrire un ministero che sia in comunione con tutta la Chiesa e con gli altri apostoli. I ministri ordinati non sono eroi solitari, ma sono inseriti vitalmente nella comunità e nel presbiterio: senza questa comunione con gli altri battezzati e con gli altri pastori – vescovo, presbiteri e diaconi – il rischio effettivo è di correre invano. Resta vero che uno da solo non dà la vita, ma solo dentro ad una relazione dà la vita. Tante nostre parole sono percepite come lettera morta, perché non sono frutto di comunione ma di iniziativa individuale”:
 Gli ordinandi si sono poi assunti gli impegni del loro nuovo ministero e si sono prostrati all’altare, al canto delle Litanie; prima il vescovo poi tutti gli altri sacerdoti presenti hanno imposto le mani sul capo degli ordinandi; il Vescovo ha poi pronunciato la solenne preghiera di ordinazione, dopo la quale i tre giovani hanno indossato il loro abito sacerdotale e sono stati unti con il Crisma; hanno poi ricevuto il pane e il vino, per la celebrazione eucaristica e hanno scambiato un abbraccio di pace con tutti gli altri sacerdoti presenti, commossi ed emozionati.
Alla fine della celebrazione le parole di don Federico, a nome dei tre nuovi presbiteri, di ringraziamento “Come i discepoli di Emmaus, è ora il nostro momento di andare ad annunciare quello che abbiamo visto. Grazie al vescovo Erio, per le parole che ci hanno accompagnato in questo primo anno di ministero, grazie ai sacerdoti che ci sono stati accanto, testimoni di una vita bella e desiderabile. Grazie ai superiori ed agli insegnanti che ci hanno dato il tempo della preghiera e dello studio, insegnandoci ad uscire dalle nostre piccole sicurezze; grazie ai seminaristi ed ai collaboratori, Grazie alle nostre famiglie che hanno dovuto rivedere alcune aspettative, consegnandoci fiducia e coraggio. Grazie agli amici con cui abbiamo intrecciato un pezzo del nostro cuore e della nostra storia. Un saluto alle parrocchie che ci accoglieranno”.