In cattedrale una messa in ricordo di Luisa Guidotti

Per ricordare Luisa Guidotti,  medico missionario modenese,  per l’offerta della sua vita 37 anni fa per i fratelli dello Zimbabwe, l’Arcivescovo Erio Castellucci ha celebrato una santa Messa in Cattedrale domenica 22 maggio  alle ore  18. Lui

 

 Luisa Guidotti Mistrali, nata a Parma nel 1932, trasferitasi a Modena ne 1947, qui  frequenta il liceo scientifico e in seguito si iscrive alla facoltà di Medicina. Sono gli anni “preconciliari – scrive Luisa – l’epoca in cui si andava prendendo coscienza della funzione del laicato nella Chiesa”. E ancora “volevo andare in missione come medico, andare per sempre, restando laica fra i laici”.

Nel 1960 chiede di far parte dell’AFMM – Associazione Femminile Medico Missionaria e l’anno dopo la sua richiesta è accolta.  Nel 1966 riceve il crocifisso del missionario e  parte per l’allora Rhodesia, destinazione Chirundu, Ospedale Paolo VI.

Occorrono 10 anni di fatiche perché Luisa possa dare un minimo di dignità all’ospedale, anni in cui anche la nostalgia e la fatica sono sue compagne: alle lettere di questi anni sono affidati i suoi stati d’animo.

Il 6 luglio 1979 Luisa non vuol essere accompagnata nel viaggio verso Nyadiri, dove sta portando una partoriente a rischio. Una raffica di mitra investe l’auto di Luisa: la pattuglia identifica l’occupante e la porta all’ospedale governativo di Mutoko, dove Luisa giunge priva di vita. Il 12 luglio, nella cattedrale cattolica di Salisbury, è celebrato il funerale. Quattro anni dopo è il presidente Mugabe a rendere omaggio a Luisa, in una cerimonia ad All Souls. Alla fine della cerimonia è scoperta una lapide, in italiano e shona, con la scritta “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13)”.

Ecco l’omelia del vescovo  durante la celebrazione

“La speranza poi non delude”, dice San Paolo al termine della seconda lettura. Noi in effetti viviamo di speranza; la speranza è come la molla della nostra esistenza. Vivere significa darsi dei traguardi, pro-gettare, cioè gettare davanti a noi sempre nuove mete. La persona che non spera, si lascia andare e al massimo sopravvivere, ma non vive davvero. Noi puntiamo ogni giorno su dei piccoli e grandi risultati, viviamo di piccole e grandi speranze. Alcune servono per mantenerci in vita e sono le speranze comuni a tutti gli uomini, come quelle che riguardano la salute, il cibo, le medicine, i vestiti e una disponibilità economica che garantisca una vita degna. Altre speranze sono più profonde e riguardano la qualità delle nostre relazioni: siamo felici quando in famiglia circolano affetto e stima; puntiamo sulle amicizie che, se sono autentiche, danno gioia nei momenti sereni e sostengono nei momenti tristi. Ci sono infine le speranze più alte, quelle che permettono di pro-gettare addirittura oltre la morte e riguardano Dio e la vita eterna; sono le speranze religiose, nate con l’uomo: gli scienziati che studiano l’evoluzione umana ritengono che uno dei segni della comparsa della nostra specie sia l’uso di seppellire i nostri simili, sconosciuto agli animali. Nessun animale onora i morti, li depone nelle tombe e mette degli oggetti vicino al corpo; solo l’essere umano lo fa. Il desiderio di dare un senso alla morte, la speranza in un vita che continua, caratterizza quindi l’uomo in quanto tale.

 

Questi tre livelli della speranza – materiale, affettivo e spirituale – si innestano l’uno nell’altro. Se non abbiamo cibo, denaro o salute a sufficienza, difficilmente coltiviamo relazioni profonde, perché i nostri progetti saranno tutti concentrati nel procurarci questi beni materiali. E se falliscono le relazioni a cui teniamo di più, andiamo in una crisi tale da coinvolgere anche il rapporto con Dio e l’interesse per la vita spirituale. Come può San Paolo dire che “la speranza non delude”? Lui lo spiega così: la speranza non delude “perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo”. Che cos’è che non delude? È l’amore. Un amore che ha la sua sorgente in alto, nella Trinità – la Festa di oggi – e che Dio non ha trattenuto per sé ma ha riversato su di noi. L’uomo spera in fondo una cosa sola: di essere amato. Uno può raggiungere tanti traguardi – successo, denaro, potere – ma se non può più sperare di essere amato, la sua vita gli sembrerà vuota. Viceversa uno può vivere anche situazioni difficili di disagio e sofferenza e ce la metterà tutta per superarle, se può sperare di essere amato. Per questo la fede è capace di sostenere la vita, di darle un significato, anche quando tutte le altre speranze deludono: perché Dio non smette mai di amarci, non ci gira mai le spalle, e ci ama così tanto che non sopporta l’idea della nostra fine; ci ha fatti per l’eternità, mettendo nel nostro cuore la speranza della vita eterna: la speranza di essere amati per sempre e totalmente.
Ma questa esistenza terrena richiede anche dei gesti d’amore visibili, per sostenere la speranza. Il Signore stesso ci chiede di dargli una mano, facendoci seminatori di speranza attraverso piccoli gesti di amore: dice, anzi, che la vita eterna sarà tanto più gioiosa quanto più avremo amato. Una testimone di carità, che ha sostenuto la speranza di tanti, è la dottoressa Luisa Guidotti, sepolta qui in Duomo, uccisa nel 1979 in Zimbabwe, dopo tredici anni di attività missionaria in Africa. Luisa ha iniettato speranza, perché ha amato. Speranze materiali, aiutando tante persone bisognose, anche con la sua attività di medico; speranze negli affetti, stringendo relazioni di amicizia profonde e calorose, aiutata dal suo carattere espansivo; era tanto capace di condividere e immedesimarsi nella gente che serviva, che un’africana – come risulta dal suo diario – disse: “vorrei tingere di nero Luisa, perché è proprio nostra!”. Speranza, infine, nel Signore e nella vita eterna: aveva una fede solida e concreta e annotò più volte questo pensiero: “è sull’amore che ci giochiamo l’eternità”. Grazie al Signore per avere impresso in Luisa un’impronta evidente del suo amore trinitario. Grazie a Luisa, che speriamo presto annoverata tra i beati e tra i santi, e grazie a tutti coloro che oggi si impegnano per farla conoscere e amare.