Sembra difficile farsi un’idea dello Spirito Santo. È facile farsi un’idea del Figlio, perché si è fatto carne in Gesù, ha preso un corpo e un volto, è stato raffigurato migliaia e migliaia di volte nell’arte. È abbastanza facile, tutto sommato, farsi un’idea del Padre: pur sapendo che è puro spirito – il Padre non si è incarnato – ce lo immaginiamo anziano, con la barba, intento a creare il mondo o accompagnare la vita terrena di Gesù e distinguere i buoni dai cattivi nel giudizio universale, e siamo aiutati anche in questo caso dalle arti figurative. È difficile invece farsi un’idea dello Spirito Santo: non ci aiuta l’espressione “spirito”, che suona molto astratta; non ci aiutano molto neppure le due principali immagini con cui lo Spirito si presenta: la colomba, nel battesimo di Gesù, e le lingue di Fuoco, nella Pentecoste.
Ma forse c’è un motivo più profondo che spiega la difficoltà ad immaginare la terza Persona della Trinità: lo Spirito è relazione d’amore e l’amore non si rappresenta: si vive. Noi non immaginiamo in astratto l’amore. È vero che a volte si è tentato di raffigurarlo in sé, come un bambino che lancia la freccia: Cupido. Ma è una rappresentazione piuttosto goffa, che non rende la ricchezza dell’amore. In realtà l’amore non sopporta astrattezze, ma può essere immaginato solo in concreto. L’amore non è una nuvola che passa sulla nostra testa, ma si incarna in volti concreti. Quando noi pensiamo all’amore, pensiamo a tanti nomi propri di persona. Possono essere i nomi dei genitori, dei fratelli, del coniuge, dei figli. Possono essere i nomi degli amici e di altre persone care. Possono essere – e speriamo che siano prima di tutto – i nomi di Dio: il Padre, il Figlio, lo Spirito; ma anche i nomi di Maria e dei Santi. L’amore ha tanti volti, perché l’amore è relazione tra persone. Ed è forse proprio questa la definizione più vera dello Spirito Santo: relazione d’amore tra il Padre e il Figlio; una relazione così piena, attiva e vera che diventa a sua volta una terza Persona.
Tutto questo però non ci riguarderebbe se fosse rimasto chiuso dentro la Trinità. Al massimo saremmo ammirati, ma non coinvolti. Invece l’amore è uscito dal circolo della Trinità e, come dice San Paolo, “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito” (Rom 5,5). Ecco perché la cosa ci interessa: questo amore ci ha investito. Quello che noi spesso chiamiamo amore, se è autentico, non è altro che lo Spirito presente tra di noi. Ci sono dei segni della sua presenza, che la parola di Dio appena proclamata ci aiuta a leggere.
Un primo segno è l’unità delle differenze. Dove arriva lo Spirito di Dio, la diversità diventa ricchezza; dove arriva lo spirito del male e opera il diavolo, la diversità diventa divisione. Le nostre differenze, per quanto a volte fastidiose, si trasformano in arricchimento reciproco, se ci apriamo allo Spirito Santo. Quando invece sfociano nella superbia e nell’invidia, come abbiamo sentito nella prima lettura, le nostre comunità si trasformano in una babele, ognuno parla la propria lingua e non ci si comprende più.
Un altro segno dell’azione dello Spirito è l’umiltà. L’amore di Dio è talmente umile che non si fa pubblicità, non fa rumore e spesso non si lascia nemmeno identificare. Tanto che a volte ci illudiamo di saper fare il bene con le nostre forze. Gesù, nel Vangelo, paragona lo Spirito all’acqua: “chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me”. Il gesto di bere acqua è la cosa più semplice e ordinaria. Lo Spirito è umile, non attira l’attenzione su di sé. Chi si apre allo Spirito è umile e non continua a ripetere, come un ritornello, “io, io, io”. Non esalta il proprio gruppo o movimento a scapito degli altri, ma coglie il bene dovunque sia. È consapevole che il proprio carisma, personale o comunitario, è sempre una “parte della” Chiesa e mai un “partito nella” Chiesa.
Ricordo infine, tra i tanti possibili, un altro segno dell’azione dello Spirito: l’offerta di sé. Lo Spirito opera in me quando dico: “come posso offrirmi?” e non quando dico: “cosa posso guadagnarci?”. L’amore di Dio è pura offerta di sé, amore che non pretende il contraccambio. La sua presenza in una persona o in una comunità si vede dalla capacità di offrirsi senza cercare vantaggi, promozioni o gratificazioni.
Questi tre segni della presenza dello Spirito – unità, umiltà e offerta – sono un difficile ma stupendo programma di vita: ci rendono felici. E sono una grande testimonianza anche per chi si sente lontano dalla Chiesa, perché rappresentano una stile di vita diverso, apparentemente in perdita ma in realtà vincente. Chi cerca l’unità invece della divisione sembra fuori dal mondo; chi si comporta umilmente e rinuncia all’arroganza appare debole; chi offre se stesso gratuitamente invece di sfruttare gli altri è considerato ingenuo. Ma è proprio questa la forza dell’amore: entra nel cuore silenziosamente e arriva in profondità, là dove l’odio non può arrivare. Imploriamo lo Spirito, senza il quale la nostra vita sarebbe grigia e fredda e con il quale, invece, si tinge di colore e di calore.