‘Coraggio, uomo: per te Dio si è fatto uomo’

Come ogni anno ho cercato di prepararmi al Natale, lasciandomi provocare dalla situazione in cui ci troviamo immersi, lasciandola illuminare dal messaggio di consolazione e di speranza che ci vengono dai testi biblici .
Quest’anno mi sono soffermato in particolare sulle parole di S. Paolo: ‘E’ apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna’ a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e pietà’ (dalla Lettera a Tito, 2,11). Le ho scelte per far giungere a tutti gli auguri di Natale, accompagnandole con le parole di S. Agostino: ‘Prendi coraggio, uomo: per te Dio si è fatto uomo’ .
La crisi che ci avvolge può generare smarrimento, paura, rassegnazione.
 
In questo contesto auguro a tutti anzitutto di non sentirsi esclusi dalla consolazione, dalla gioia, dalla speranza che ci vengono dall’aprirci alla certezza che Dio non ci ha abbandona in balia di noi stessi; per noi e per la nostra salvezza Egli è venuto a condividere la nostra storia, la nostra vita: il Figlio di Dio si è fatto uomo, veramente uomo.
 
Per chi è il Natale di Gesù? L’apostolo Paolo ci dice: è per tutti. E’ per chi si sente bisognoso di salvezza, per chi quindi ammette la propria fragilità e debolezza.
Natale è per chi è e sa di essere povero. E non mi riferisco solo o principalmente alla povertà economica o sociale; mi riferisco alla povertà come segno della condizione umana.
Natale è certamente per chi è povero materialmente, ma anche per chi si sente povero di compagnia e soffre di solitudine,per chi è costretto a contare i fallimenti dei suoi rapporti affettivi, per chi si trova moralmente fragile, per chi si sente incapace di guidare un figlio adolescente, per chi si trova senza più desideri, senza speranza, per chi è martoriato nel suo fisico. Potrei andare avanti nell’elenco delle nostre povertà.
Tutti, credo, siamo e rimaniamo deboli. Varrebbe la pena confessarlo anzitutto a noi stessi.
Non possiamo cogliere un messaggio di consolazione o di salvezza se non ne avvertiamo il bisogno o ci troviamo in una situazione di scetticismo presuntuoso.
 
La morte dell’umiltà è la vera causa della difficoltà a lasciarci raggiungere dalla gioia di sentirci salvati da un Dio che per amore si è fatto bambino, che si è fatto piccolo, debole, perché non avessimo paura a riconoscerci deboli.
La dove la debolezza dell’uomo è riconosciuta e confessata, lì può nascere la gioia di sentirsi salvati, lì può nascere più facilmente la solidarietà, la fraternità, la vicinanza, la condivisione.
Lasciarsi raggiungere dall’amore di Dio, non vuol dire essere dispensati né dalla propria libertà, né dalla propria responsabilità, né dall’impiego delle proprie energie di ricercatore e di costruttore della storia. Vuol dire al contrario essere maggiormente radicati in tutto questo, sapendo che questa storia ha una consistenza , una direzione, un significato.
Ci ricorda Benedetto XVI nell’enciclica ‘Spe salvi: ‘La porta oscura del tempo,del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente, gli è stata donata una vita nuova…Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente’.
Sentirmi radicato in queste certezze è come sentirmi infondere una fiducia incrollabile nella vita e nella storia, è come sentire che ogni impegno vale la pena, perché niente va perduto.
 
E’ un diventare capace di relativizzare tutte le difficoltà,tutte le prove, perché questo ‘evento’ fondamentale che ho dietro di me e da cui parto in ogni istante, mi proietta sempre in avanti, mi continua a dire che tutto confluisce verso una pienezza eterna. Questo Gesù che è nato nella storia e che nasce in me, diventa luce che orienta, forza che mi sospinge, certezza che mi rasserena e mi pacifica, profezia che in ogni presente mi annuncia un futuro che nessuna catastrofe fa naufragare, che anche nelle ore più disperate mi sostiene con la speranza.
Con questi sentimenti auguro un buon Natale a tutti.
        
 + An tonio Lanfranchi, arcivescovo