Alle 19 di lunedì 5 luglio, nell’oratorio Don Bosco di Formigine, don Maurizio Setti, rientrato da poco dal Brasile, celebrerà la Messa missionaria e a seguire racconterà la propria esperienza nel cuore dell’Amazzonia.
Don Setti, dopo un primo periodo come parroco a Fiorano, più di 20 anni fa realizza quello che da sempre è stato il suo sogno, partire per il Brasile come missionario, così dal 1998 viene inviato nella diocesi di Goiás come prete fidei donum, mentre da ormai quattro anni svolge il proprio servizio nel cuore dell’Amazzonia, a São Gabriel da Cachoeira.
«In Goiás – racconta – si trattava di una Chiesa molto vicina alle persone, dove si lavorava con i « sin terras » per tentare di costruire un futuro per molte famiglie in difficoltà, visitando le comunità e celebrando la messa. In Amazzonia invece mi trovo in un cittadina di circa 40mila abitanti con un territorio grande quanto l’Italia, in cui la maggior parte degli abitanti sono indios che vivono in villaggi lungo il Rio Negro e i suoi affluenti. È possibile arrivarci solamente in aereo o barca, non ci sono strade perciò la pastorale di visita avviene con queste modalità per cercare di ravvivare la fede all’interno delle varie comunità che vivono lungo il fiume».
Data l’enorme vastità del territorio don Maurizio sorride pensando a quanto sia diventata fondamentale la «pastorale della visitazione» alle comunità che sempre più richiede un totale adattamento allo stile di vita di queste, in cui cioè anche ai sacerdoti è richiesto vivere alla maniera degli indios: lavandosi nel fiume, mangiando quello che mangiano loro e dormendo in amache quasi all’aperto. In questo modo è possibile sperimentare una condivisione piena.
Riallacciandosi al Sinodo sull’Amazzonia di papa Francesco, don Maurizio sottolinea il tentativo e la decisione presa dall’Assemblea diocesana di trasformare la «pastorale di visitazione» (dove il sacerdote visita un paio volte l’anno la comunità e celebra la Messa) in una «pastorale di presenza».
Questo comporta per i sacerdoti e i missionari la necessità di passare più tempo nelle varie comunità, garantendo così la visita alle famiglie, momenti di formazione e accompagnamento per i catechisti ed il tentativo di ravvivare i gruppi di giovani presenti. Un aspetto sempre più prezioso, sottolinea don Setti, è la presenza (seppur minima) di sacerdoti indios che iniziano ad andare nelle parrocchie, parlando la lingua del luogo (oltre al portoghese infatti ci sono altre lingue ufficiali ed in più ogni popolo parla un suo dialetto).
In queste comunità, così difficilmente raggiungibili, dove il sacerdote c’è pochi giorni all’anno, tutto si regge nelle mani dei laici, è la comunità che si gestisce tramite un coordinatore (per gli aspetti laici) e un catechista (per quelli religiosi). Questo è un esempio di una Chiesa in cui il sacerdote c’è ma è a servizio della comunità, in cui le comunità, seppur rimanendo legate alla Chiesa cattolica, sono autonome.
La fede cristiana, giunta qui oltre un secolo fa tramite le influenze di alcuni gruppi religiosi tra cui i salesiani, si trova ora a vedersi profondamente trasformata da un nuovo modo di trasmettere la Parola di Dio. Messaggi di speranza, amore e perdono si fanno spazio in mezzo a superstizioni e paure. Ripensando dunque a cosa significa fare missione oggi, don Maurizio afferma: «È saper entrare in una cultura differente dalla propria e cercare di adeguarsi a quella in cui si è inseriti; non tanto per insegnare qualcosa ma per fare un cammino insieme a loro».