Quando ho appreso da don Mattia Ferrari, cappellano di Nonantola e assistente diocesano dell’Acr, il desiderio e la disponibilità ad imbarcarsi sulla nave «Mar Jonio» per il soccorso di migranti nelle acque al largo della Libia, dopo essermi informato e avere brevemente riflettuto, ho dato il mio consenso.
Nonostante le aspre critiche fuori e dentro la comunità cattolica e il pericolo di strumentalizzazione partitica, non ne sono pentito. Un «nulla osta», il mio, condiviso dal cronista Nello Scavo che segue la missione per Avvenire, dall’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice e dal direttore nazionale di «Migrantes» don Gianni De Robertis.
Don Mattia è partito per un paio di settimane. Ha vissuto le giornate con l’equipaggio – composto in buona parte di medici e legali – pregando, lavorando e riflettendo, celebrando l’Eucaristia, confrontandosi con persone di diversi orientamenti e fedi, trascorrendo momenti di convivialità e svago. Ha trovato anche il tempo di partecipare ad una trasmissione televisiva nazionale, offrendo alcune riflessioni pacate sullo spinoso tema dell’accoglienza.
Don Mattia non è partito da «super–eroe» e nemmeno vuole diventarlo. La sua scelta è coerente con l’impegno che in questi anni, già da seminarista e diacono, ha espresso nei confronti dei migranti, prima alla Cittadella e ora a Nonantola. I suoi 25 anni, certo, lo aiutano nel «buttarsi» in queste esperienze – alla sua età magari l’avrei fatto anch’io, mentre oggi non potrei più – ma non in maniera improvvisata e avventata.
Personalmente guardo a questa sua scelta, come a tante altre compiute dai nostri presbiteri nei loro impegni fuori diocesi e soprattutto nel loro quotidiano ministero, con il desiderio di imparare qualcosa. Mi sento spinto ad una maggiore attenzione verso le persone provenienti da altri paesi, colti spesso da fragilità, bisogni e paure.
E mi aspetto di ricevere al suo ritorno informazioni di prima mano e i riflessi di un’esperienza intensa, sicuramente arricchente per chiunque la vorrà conoscere.