Amira è tunisina e vive a Modena da quattordici anni. È lei che, insieme a Catia, ha preparato il pranzo, polenta e ragù, e che per la prossima volta ha promesso di fare il cous cous. A tavola c’è anche Patrizia, che ha il compito di tenere pulito il Centro diurno e il Centro di accoglienza, e c’è Mohamed, uno dei residenti del Centro «Papa Francesco», che presto si trasferirà in uno degli appartamenti del secondo piano, e sarà il custode degli spazi recentemente inaugurati.
Storie diverse che si intrecciano alla mensa di fraternità, appuntamento quotidiano in via dei Servi per i residenti del Centro di accoglienza, che diventerà presto famigliare a tanti altri modenesi. Prima data in calendario è mercoledì 27 febbraio al Centro diurno, luogo scelto da Caritas diocesana, promotrice dell’iniziativa, per incontrare la città e dialogare con l’esterno della struttura.
Opera–segno della Caritas diocesana per il secondo anno del progetto «Legami che liberano», le mense di fraternità rappresentano occasioni speciali di incontro e relazione, che intendono coinvolgere non solo utenti, volontari e operatori, ma tutti i cittadini.
«Le mense di fraternità – spiega Federico Valenzano, vicedirettore di Caritas diocesana – sono piccole tavole, con non più di venti persone e cinque o sei volontari a coordinare, la dimensione giusta per conoscersi veramente e costruire una relazione. Stare a tavola e mangiare insieme significa condividere molto più del cibo; non viene soddisfatto soltanto il bisogno alimentare, ma anche la necessità di relazione. Ricostruire il proprio tessuto sociale è uno dei motivi che animano questa iniziativa, che non applica una logica emergenziale, ma tende a coinvolgere l’altro nell’intera esperienza, a farlo diventare soggetto attivo nel partecipare al processo di scelta dei prodotti, alla preparazione del pasto e creare così un’occasione di incontro e socialità che difficilmente sarebbe stata possibile altrimenti».
«È un po’ l’idea delle prime comunità cristiane – spiega Massimiliano Ferrarini, responsabile del Centro di accoglienza «Papa Francesco» –, che spezzavano il pane e con gioia condividevano il cibo insieme, come si legge negli Atti degli Apostoli. Per questo primo mese la cadenza sarà settimanale, ma nel corso dell’anno contiamo di passare a due volte a settimana, il mercoledì e il giovedì, sempre negli spazi del Centro diurno. È nostra intenzione coinvolgere anche il mondo del volontariato, ci siamo già attivati e stiamo incontrando e formando gruppi di persone. L’obiettivo è fare delle mense di fraternità un modello da portare anche nelle realtà parrocchiali, che rappresentano luoghi privilegiati di incontro; il sogno è diffondere a macchia di leopardo per la città questa modalità, che dal lato del volontario non si limita a mettere a disposizione soltanto il proprio tempo, ma significa mettersi in gioco interamente come persona». Attenzione alla stagionalità e alla filiera corta, evitare gli sprechi alimentari e mangiare bene spendendo poco sono alcune delle azioni concrete del progetto, che vuole sviluppare nei partecipanti anche le buone pratiche legate all’alimentazione e un corretto stile di vita alimentare.
Catia Fois, coordinatrice del progetto, sottolinea che «le mense di fraternità sono un’occasione per condividere con altre persone un momento speciale, nel quale la tavola diventa luogo di integrazione e conoscenza reciproca. Tra le caratteristiche del progetto c’è la stagionalità dei prodotti, il chilometro zero, e il legame con altri progetti come ad esempio l’SOS Rosarno, da cui provengono le nostre arance. Stare seduti attorno ad un tavolo e condividere il momento del pasto – conclude – significa annullare le differenze, perché tutti si sentono accolti».