E’ stata inaugurata sabato 25 febbraio nell’ex chiostro dell’Abbazia di Nonantola la mostra “Giuseppe Graziosi. La via della croce. Esposizione di 19 acqueforti”. L’esposizione nasce dalla valorizzazione di una donazione all’Abbazia di Nonantola da parte dell’editore Emilio Ballestri (Stamperia d’Arte Calcografica di Vignola), dietro accordo con gli eredi fiorentini di Giuseppe Graziosi, di 19 acqueforti raffiguranti scene della passione di Cristo. Un soggetto sacro per eccellenza, frutto del lavoro e di un percorso spirituale di uno dei più celebri artisti modenesi del secolo passato. Si tratta di un’occasione non soltanto artistica, ma anche spirituale, proposto al visitatore proprio nel periodo quaresimale. Ogni immagine, infatti, è arricchita da una breve meditazione tratta dalla Sacra scrittura. La mostra è accompagnata da un piccolo opuscolo realizzato da Artistica Grafica di Modena.
Nato a Savignano sul Panaro nel 1879, Graziosi è morto a Firenze il 2 luglio 1942. Scultore, docente dell’Accademia di Belle Arti di Milano, Graziosi ha segnato un’epoca e certamente ben conosceva l’Abbazia nonantolana, avendo realizzato nel 1917 il monumento commemorativo dell’Arcivescovo Natale Bruni, in marmo di Carrara, a memoria dei lavori di ripristino dell’impianto romanico avvenuti tra il 1913 e 1917, promossi proprio dal presule modenese.
Guardando l’opera della Via Crucis del Graziosi nella sua complessità si evince un vivo senso di drammaticità. Infatti, secondo l’autore, la Passione di Cristo fu l’episodio più buio della storia dell’umanità. La Via Crucis del Graziosi è composta da 19 raffigurazioni, diversificandosi così dalla struttura tradizionale del pio esercizio di preghiera, che ne conta solo 14. È come se il maestro avesse voluto inserire scene narrate come in un racconto. Scene che nei Vangeli non ci sono, inserite per imprimere una sequenza fitta e incalzante a tutta la Passione di Cristo, colmandola di passaggi. Per esempio, il cammino verso il Golgota, i soldati, il popolo in tumulto. Scene che fanno da cucitura con gli episodi registrati dai Vangeli. Graziosi ha immaginato che le cadute siano state quattro e non tre: ciò sembra indicarci come non si debba cadere nello schematismo della ritualità, avendo l’uomo la possibilità di rialzarsi dopo ogni inciampo, anche l’ennesimo e il più inaspettato.
L’ultima parola però non è la morte. Ecco perché il percorso della mostra termina, dopo la scena della deposizione di Cristo nel sepolcro, con un riferimento alla Resurrezione. Non sono l’angoscia umana ed il dolore lo sbocco della croce: è la vita nuova che scaturisce da Cristo Risorto, quella che viene offerta ad ogni uomo che crede nel suo Nome.
Si ringraziano: Can. Alberto Zironi, Can. Nardo Masetti, Emilio Ballestri, Vespasiani, Massimo Po e il gruppo “NonantolArte”, Emilio Masetti, Loris Sighinolfi, Simona Roversi, Jacopo Ferrari.
Le opere rimarranno in mostra fino al prossimo 17 aprile