“Un imperatore e un pastore si contendono sempre il mio cuore. Prevale in me l’imperatore quando mi lascio tentare dalla ricerca delle cose che colpiscono; quando misuro gli altri sulla base di quello che appare e che impressiona; quando organizzo anch’io i miei piccoli censimenti, per poter fare leva sulle cose che possiedo e quando cerco di esercitare il mio potere sulle persone. Prevale invece in me il pastore quando mi accontento dei doni che ho e cerco di metterli a disposizione; quando rimango aperto ai segni di Dio, alle luci che mi manda attraverso le tante persone che incontro; quando ho il coraggio di mettermi umilmente in cammino, quando cerco il volto di Dio nel volto dei piccoli: i poveri, i malati, coloro che non hanno nulla da esibire sul mercato di quelli che contano.
Forse è proprio questa la differenza fondamentale tra l’imperatore e i pastori: lui riesce a catalogare tutte le cose e le persone dell’impero, ma se ne sta fermo a Roma, mandando in giro i suoi funzionari; i pastori invece si alzano, si muovono, si mettono in moto, vanno verso una mèta. L’imperatore fa arrivare a sé tutti gli elenchi dell’impero, è centrato su se stesso e sono gli altri che convergono verso di lui; mentre i pastori non sono incentrati su loro stessi, anzi sono orientati fuori dalla loro cerchia, verso la luce e il bambino. All’imperatore bastano dei numeri, dei nomi scritti, dei volumi; i pastori invece hanno bisogno di vedere un bambino in carne e ossa, hanno bisogno dell’incontro con una persona vera”.